Quanti se ne sono visti di film sulla fine del mondo e della civiltà? Un'enormità. Da quelli super catastrofici a la Roland Emmerich a quelli più psicologici, che preferiscono indagare sulle fratture della mente e delle emozioni umane più che su quelle della civiltà tecnologica. A questa seconda categoria appartengono quasi tutte le produzioni indipendenti, come Existence, film a basso costo proveniente dalla lontanissima Nuova Zelanda, e che il prossimo tre agosto debutterà al New Zealand International Film Festival cercando di ritagliarsi il proprio spazio. Il sito americano Quiet Earth ne ha presentato il primo teaser in esclusiva, e noi ve lo riproponiamo nel link presente nelle Risorse in rete.
Siamo in un futuro imprecisato, e nettamente distopico. Quasi tutte le terre sono state sommerse dalle acque che, come se non bastasse, sono diventate tossiche. Solamente pochi lembi di superficie asciutta si sono salvati, sui quali sopravvivono i pochi resti dell'umanità. Su uno di questi territori vive la giovane Freya con il marito Daniel, i due figli e l'anziano padre Robert. La loro vita si svolge tutta entro un perimetro delimitato da recinzioni metalliche e gigantesche pale eoliche, sorvegliate da uomini armati. Freya però sogna una vita diversa, al di fuori del recinto, e l'occasione per evadere si presenta nei panni di Rider, una specie di pistolero solitario. Freya tenterà di sedurlo ma le cose le sfuggiranno di mano, e scoprirà che la libertà, in un mondo che è tutto morte, può diventare una parola priva di significato.
Girato nelle spettrali campagne neozelandesi di Wellington, Existence viene definito un western salvagepunk, definizione questa di un futuro post apocalittico coniata dallo studioso Evan Calder Williams nel suo saggio Combined and Uneven Apocalypse, e descritta in modo poetico come un "sorriso da cimitero". Ed è stata proprio questa definizione a ispirare la giovane cineasta neozelandese Juliet Bergh, che ha immaginato pertanto questa storia ambientata in un futuro disperato e cupo, in cui ogni segno di modernità è stato cancellato per fare posto a un volontario e tenace ritorno a un tipo di esistenza completamente staccato dalle logiche occidentali. La Bergh ha poi scritto la sceneggiatura insieme all'esordiente Jessica Charlton, e prodotto quasi in proprio il film con un budget di appena 250.000 dollari neozelandesi, circa centosessantamila euro.
Bravi e intensi gli interpreti, a cominciare dalla protagonista, la quasi esordiente Loren Taylor. Con lei Gareth Reeves (Underbelly) nei panni del marito Daniel, Matthew Sunderland in quelli di Rider e il veterano Peter McCauley (The Lost World) in quelli del patriarca Robert. Insomma, ancora una volta arriva, e da una terra parecchio lontana da noi, un esempio di come si possa fare fantascienza senza per forza far crollare edifici e sprofondare intere città. A dimostrazione ulteriore, come scriveva James G. Ballard, che la vera frontiera è quella interiore, là dove ogni confine sembra spalancarsi su un abisso sconosciuto.
19 commenti
Aggiungi un commentoQuesta è fantascienza "scomoda" perché davvero disturbante. Siamo abituati ad immaginare un futuro metropolitano, alla Blade Runner, che alla fine risulta tutto sommato consolatorio. Siamo così legati alla nostra giungla di cemento, alle nostre macchinine, ai nostri gadget tecnologici da non volerli eliminare dal nostro orizzonte.
Siamo sicuri che il futuro ci vedrà abitare megalopoli sovrappopolate?
Forse ci aspettano oceani, deserti e montagne spopolate.
Ma non credo proprio... !!
... a me, poi, doctor who non è mai piaciuto...
Mi ricorda tanto gli scenari apocalitti di Ballard, proprio belli.
In Dr. Who l'umanità si espande verso le stelle e sopravvive sino alla morte termica dell'Universo, evolvendosi pure in varie forme. Non mi sembra così male.
Poi quando guardi Dr. Who devi ricordarti che per contratto il Dottore è un grandissimo stronzo (è essenzialmente un trickster relativamente benevolo), sono i companion gli "eroi umani".
Se invece vuoi fantascienza in modalità smodata, attualmente il non plus ultra è Schlock Mercenary.
E' una striscia a fumetti ma è piena zeppa di
"le astronavi, le grandi invenzioni tecnologiche che ci aspettano, nuovi pianeti da esplorare, nuove culture da conoscere, misteri del cosmo da studiare" ... ed ovviamente "more dakka, overkill, ecc. ecc."
Oh bè, sì, giocano il loro ruolo il difficile momento economico e sociale la crisi storica della sf e la riduzione a stereotipo risibile di certi antichi canoni come appunto i grandi viaggi, le astronavi, gli alieni. Esce Prometheus e ne viene fuori un polpettone mistico, Dan Simmons scrive di vampiri, quelli che hanno il naso lungo esaltano autori che a una sana bistecca preferiscono la soia, e nemmeno Robert Silverberg si sente tanto bene. Quindi cosa vi aspettate dal lunario? Come? La singolarità? Ma faciteme 'o piacere, va'...
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID