Kierkegaard è distratto. La sua mente corre altrove, aizzata dalle parole del Professore. Va al poeta cosmico che incarna l’Assoluto in una delle immagini più efficaci del primo Schelling, quando l’astro di Hegel non era ancora sorto in tutto il suo sfolgorante splendore a eclissare l’audacia di tutti i colleghi suoi contemporanei. Come un poeta-demiurgo, l’Assoluto che genera le cose del mondo in maniera al contempo consapevole e inconsapevole, caratterizzandosi come una forza infinita che si specifica in infinite figure finite, così il poeta-uomo, nella prima prospettiva schellinghiana, si configura oggettivamente come il miglior interprete dell’Assoluto.Kierkegaard apre il suo diario e annota queste parole: 

La creazione estetica racchiude il mistero stesso della creazione del mondo per opera dell’Assoluto.

Dalla cattedra, il sessantaseienne Schelling dice: – Questo procedimento è in tutta evidenza impossibile, perché un conto sono le condizioni negative della pensabilità logica del reale e un conto le condizioni positive della sua esistenza. Per questo motivo propongo con convinzione la necessità di distinguere tra una filosofia negativa, limitata all’essenza o possibilità logica delle cose, e una filosofia positiva che concerne invece la loro esistenza o realtà effettiva. Da una parte l’essenza – il quid sit. Dall’altra l’esistenza – il quod sit.

Kierkegaard si è nuovamente distratto. Ha scritto qualcos’altro sul suo diario, infilando una parola dietro l’altra, scribacchiando una riga dopo l’altra, senza quasi nemmeno accorgersene. Legge: 

L’esistenza è una possibilità del reale. Ciò che è possibilità-che-sì è anche possibilità-che-non. Viviamo annegati nel vuoto che racchiude le infinite alternative alla scelta. Le alternative sono mutuamente esclusive? Ciò che è sicuro, non è che un niente.

È questo niente che genera l’angoscia, una condizione che nasce nell’uomo dal possibile che lo costituisce e che, a differenza del timore e della paura, e di altri stati analoghi che fanno sempre, inevitabilmente, riferimento a qualcosa di definito, non si riferisce a niente di preciso.

È l’orrore dell’indeterminazione