La sovrappopolazione ha da sempre allarmato la società: gli uomini hanno riconosciuto negli insegnamenti dalle Sacre Scritture che la vera ricchezza sono i figli, insegnamenti che sono stati forse presi un po' troppo alla lettera in ogni cultura e religione sia moderna, sia antica. Il problema ieri non trovava soluzione, oggi la situazione non è poi tanto diversa, basti pensare a paesi come l'India e l'Africa dove centinaia di bambini muoiono ogni giorno per fame. Un tempo, nel Medioevo, ma non solo, si moriva a causa delle malattie, soprattutto per colpa della peste che falciava la prole che era l'unica ricchezza del popolo analfabeta e conculcato da regnanti, esattori delle tasse e vandali. Se in quei tempi oscuri si nasceva già schiavi di un padrone, oggi si nasce e si muore schiavi della povertà. Cosa accadrebbe se all'improvviso l'umanità perdesse la capacità a procreare? E' quanto immagina P. K. Dick nel romanzo I giocatori di Titano.

Il romanzo se non è tra i più allucinati dell'autore, è sicuramente uno dei migliori: è carico di una sana ironia feroce ma non distruttiva, è un attacco contro la società degli anni Sessanta ancora infartata per l'assassinio del presidente Kennedy. Con estrema lucidezza Philip K. Dick affronta i temi che gli sono cari: la percezione soggettiva, la paranoia, il controllo sociale, il bluff. La Terra non soffre più la sovrappopolazione: a causa di una guerra globale, i pochi sopravvissuti non sono più in grado di procreare e il genere umano sembra essere destinato ad estinguersi. Solo pochi individui hanno conservato la virilità, ma è difficile trovare un maschio ed una femmina entrambi fertili, così tra i pochi sopravvissuti, per ridar una speranza all'umanità, lo scambio di coppie è una necessità biologica quanto antropologica. Molti legami fra coppie nascono e subito si sciolgono nel momento in cui ci si rende conto che non si è compatibili, incapaci di dare al mondo un nuovo "figlio". Così stando le cose, i rapporti fra uomini e donne sono spietatamente crudeli: ci si conosce, ci si accoppia, ci si lascia. Sembrerebbe facile dimenticare tutto ciò ma i sentimenti restano e nulla riesce a cancellarli; e l'invidia diventa il sentimento più comune e viscerale di questa umanità decimata, invidia che è poi il supplente dell'amore. Quando una coppia riesce a procreare, immediatamente si scatena una grande tensione sociale pregna di invidia: la fertilità è il bene più prezioso, la vera ricchezza, il vero amore ma anche la vera invidia, anzi solo quest'ultima è il motore che spinge l'umanità a continuare ad esistere nonostante tutto. Il mondo è dominato dalle macchine: ogni azione umana sorvegliata dai robot e un comportamento umano ritenuto sbagliato viene subito corretto con la forza dai meccanismi atti ad evitare che l'uomo si faccia del male. L'individuo è prigioniero del suo impulso a sopravvivere: non può permettersi di morire in un incidente stradale perché il fato ha così deciso, non può neanche lontanamente pensare al suicidio... le macchine gli impediscono di vivere il suo destino e nel bene e nel male. Come se tutto ciò non bastasse i vug telepatici, invasori extraterrestri provenienti da Titano, conducono uno sporco gioco ai danni dell'umanità: in un primo momento si dicono amici dei terrestri ma non è difficile scoprire quello che è in realtà il loro scopo principale...

I giocatori di Titano ha il gusto di un pulp fantascientifico: Dick costruisce una storia drammatica, comica e metafisica dove non mancano i colpi di scena; come sempre l'irrealtà finisce col diventare la realtà e viceversa. Il romanzo fa divertire e riflettere allo stesso tempo: science fiction dagli stilemi tipici degli anni Cinquanta, non manca di catturare l'attenzione del lettore, anche se bisogna ammettere che alcuni espedienti dickiani in questo suo scritto risultano essere un po' grezzi e scontati... ma rimane il dubbio che forse era proprio nelle intenzioni di Dick far si che il costrutto narrativo assumesse uno spessore metafisico grezzo: è questo un invito a carte scoperte che invita a riflettere sui costumi sociali barbari di ieri che, a detta di P. K. Dick, saranno anche quelli del futuro indipendentemente dal fatto se si continuerà ad esser tutti ugualmente fertili o meno.