“I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...».” Questa breve citazione tratta da Perché leggere i classici di Italo Calvino (Mondadori, Milano, 1995) ci sembra un ottimo punto di partenza per rispondere alla domanda: “Quali testi classici della fantascienza consigliereste da leggere o rileggere? E perché?” Nel suo breve scritto, che da il titolo alla raccolta di saggi edita dalla Mondadori, Calvino elenca 14 tesi che dimostrano (o almeno tentano) quanto sia importante leggere e, soprattutto, cosa s’intende per classico in letteratura. Più modestamente, con questo speciale di Delos, proviamo ad indicare quali classici della science fiction sono assolutamente da leggere. Abbiamo, così, girato questa domanda da 1 milione di Euro ad alcuni noi personaggi del mondo della science fiction nostrana, chiedendo loro, in particolare, di indicare tre opere e perché, a loro avviso, sono importanti. Nel ringraziare tutti quelli che hanno partecipato, ecco le loro risposte che – insieme alla nostra breve ed essenziale guida ai classici di questo speciale della nostra rivista – vuole essere semplicemente un punto di partenza per chi vuole avvicinarsi alla narrativa di fantascienza o per chi ha voglia di rileggere quelle opere immortali che, nel bene e nel male, hanno reso la science fiction una letteratura originale.

Alessandro Fambrini - Italo Calvino scrisse nel 1981 un breve saggio dal titolo Perché leggere i classici, in cui, nell'agile articolazione di quattordici punti, veniva affrontata l'attualità dei classici, il loro rapporto con la tradizione letteraria - con tutta la tradizione letteraria, patrimonio indifferenziato dell'umanità attraverso la scrittura: perché questo significa per un testo l'essere classico - la loro efficacia e anzi la necessità per tutti noi, per la nostra stessa civiltà. Ma che rapporto ha con la fantascienza il concetto di classicità? Quali sono i classici della fantascienza? Senza andare a scomodare gli antenati celesti, come spesso li si ritrovano in rassegne storiche scritte da critici vogliosi o forse bisognosi di pedigree eccellenti, la maggior parte dei classici ricade al di qua dei confini del genere, è costituita da autori e opere apparsi sulle riviste e nelle collane specializzate. Il retaggio dei nostri classici si misura nella consistenza del patrimonio di immaginario che fa della fantascienza un universo a sé stante, sia pure tendente all'infinito (non diversamente dall'universo reale: a esso simile e tangente, ma non sovrapponibile; “l'universo che altri chiama la biblioteca”, direbbe Borges). E quindi, classici relativi che non avrebbero tale statuto - o addirittura alcuno statuto - al di fuori di questo universo: in esso, tuttavia, opere che sono fondanti, inarrivabili, imprescindibili per chi è immerso nella fantascienza e in esse recupera le coordinate del proprio essere e della propria storia. Ne cito tre, consapevole dell'esiguità dell'esempio e dell'arbitrio della mia scelta: Assurdo universo di Fredric Brown, Nascita del superuomo

di Theodore Sturgeon e L'occhio nel cielo di Philip K. Dick. Opere che a ogni rilettura offrono qualcosa di nuovo, come al punto sesto di Calvino, secondo il quale “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, opere in cui si ritrova qualcosa che si cercherebbe invano al di fuori della fantascienza. Ma anche romanzi che non potrebbero esistere senza la fantascienza e senza i quali la fantascienza non sarebbe la stessa. Il che è un'altra possibile definizione di classico. 

Fabio Pagan - Un libro può diventare un classico – al di là del suo valore intrinseco – se nel corso della vita abbiamo sviluppato un rapporto speciale con l'opera, se è entrato a far parte del nostro immaginario. Tanto più, poi, se possiamo legarlo a momenti ben precisi, magari a un incontro con il suo autore. Sfogliare le pagine di un libro, allora, diventa anche un modo per riannodare i fili della memoria.

Cronache marziane di Ray Bradbury (1950). Possiedo la storica prima edizione della Medusa di Mondadori del 1954. Con l'autografo di Bradbury, incontrato a Spoleto il 6/29/91, come aggiunse lui stesso sotto la sua firma. L'uomo (americano) va su Marte, esploratori prima, coloni poi. Ci sono i marziani, ora sfuggenti creature telepatiche, ora sfere azzurre ardenti che si rivelano ai nuovi padri missionari. Ma i veri marziani diventano alla fine i figli di quei terrestri che si specchiano nell'acqua dei canali del pianeta. Mito della frontiera, scienza piegata a una fantasia barocca. Eppure, quando la prima astronave della Terra arriverà su Marte, dovrà portare lassù anche questo libro.