La Terra non se la passa bene e questa non è una novità. Purtroppo stiamo prendendo la pessima abitudine di considerare quasi naturali e inevitabili le prospettive pessimistiche sul futuro del nostro pianeta. Così gli allarmi che vengono periodicamente lanciati dalla comunità internazionale degli scienziati o dalle fondazioni ambientaliste corrono il rischio di sortire l'effetto opposto a quello sperato: capita per esempio che di fronte all'annuncio di nuovi dati sul monitoraggio dell'effetto serra (con il buco dell'ozono mai così vasto come in questi ultimi anni), sull'inquinamento industriale o sui progressi della desertificazione, oppure apprendendo gli ultimi rapporti sull'emergenza idrica che mette in ginocchio interi continenti, ci si limiti sempre più spesso a una scrollata di spalle.
Lo sconforto è la prima sensazione che emerge dalla lettura del Living Planet Report 2006 del WWF, diffuso in questi giorni proprio da uno dei paesi in più rapido (si legga pure selvaggio) sviluppo: la Cina. L'impatto della presenza umana sul pianeta forse sarà riassorbito sulla scala geologica come illustrato da altri recenti studi, ma di questo passo metterà in serio pericolo le capacità di autosostentamento dell'ecosistema Terra, le cui risorse si stanno degradando con un ritmo senza precedenti. Proiezioni pessimistiche delle solite cassandre? Diamo un'occhiata ai dati.

La maglia nera tocca, come c'era da aspettarsi, agli USA, che condividono la vetta della classifica dei grandi stati con la più incisiva Impronta Ecologia con la rivelazione Emirati Arabi Uniti. Seguono Finlandia, Canada, Kuwait, Australia, Estonia, Svezia, Nuova Zelanda e Norvegia. Come si vede, anche le tanto celebrate democrazie scandinave non è che facciano una figura egregia, a causa soprattutto della deforestazione e delle attività marittime. L'Italia occupa il 29simo posto, mentre la Cina si colloca a metà classifica, per l'esattezza al 69simo posto, ma la crescita economica che la caratterizza (pari al 10,2% nel 2005) la porterà presto a giocare un ruolo di primo piano nell'uso sostenibile delle risorse planetarie. E per questa ragione, con lo scopo di sensibilizzare governanti e opinione pubblica, il WWF ha scelto di lanciare il rapporto 2006 proprio da Pechino. Più che un allarme, il rapporto nasce con l'intento di lanciare un appello proprio a quei paesi di nuova industrializzazione che al di fuori della Cina raccolgono da soli un altro miliardo di uomini e i cui consumi si stanno progressivamente avvicinando a quelli dell'Occidente.

Scrollare le spalle, come atto di condanna o d'impotenza, non è abbastanza. A meno di non scoprire nei prossimi quarant'anni un pianeta terrestre atto ad ospitare la vita e mettere simultaneamente a punto una tecnologia di volo spaziale tanto sviluppata da consentire la migrazione in massa della popolazione umana dalla Terra, ci conviene tenerci ben stretta questa pietra che ci diede i natali e che finora non abbiamo degnato di un briciolo di gratitudine. Un messaggio banalizzato dall'inflazione che sta subendo, ma dovrebbe essere ben chiaro a tutti che è obbligo morale di istituzioni e privati cittadini contribuire, nella dimensione che a ciascuno compete, alla preservazione dell'ambiente. Sempre che si voglia arrivare a vedere davvero l'alba di un nuovo secolo.
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