Latrati di cani, musica dai confini dell’universo, voci di antenati e molto, molto altro ancora. Sono solo alcune delle esperienze vissute dai cosmonauti russi nel corso di oltre quarant’anni di attività spaziale, sempre rigorosamente taciute dai protagonisti per timore di diventare oggetto di beffe o, peggio, di inimicarsi le autorità sovietiche. A rendere giustizia a questa pagina oscura dell’astronautica moscovita, ci pensa oggi uno studio di Kirill Butusov, professore dell’Istituto superiore dell’aviazione civile di San Pietroburgo, pubblicato sulle pagine del tabloid Komsomolskaia Pravda. E il suo articolo si regge sulle confidenze strappate a un numero di tutto rispetto di eroi dello spazio della defunta Urss e della nuova Russia.

 

La storia comincia con Yuri Gagarin, nel lontano 1961. È lui il primo uomo a mettere piede nello spazio, lo sanno anche i bambini. Non tutti però sanno che il viaggio di Gagarin è accompagnato da percezioni sinistre, “cose sensazionali” che avrebbe confidato di poter riferire se solo le autorità gliene avessero dato il permesso. Dopo di lui, Vladislav Volkov, morto nel 1971 insieme ad altri due colleghi nel corso di una delle pagine nere dell’esplorazione spaziale russa. Nel corso di una precedente missione riferì di aver udito il latrato di una cagna e il pianto di un bambino e fantasticò che ad abbaiare nel buio fosse stata Laika, la mitica cagnetta lanciata nello spazio nel 1957 e mai più tornata indietro. E se Gheorghi Grechko fu assalito da un raptus di angoscia mentre sorvolava il Capo di Buona Speranza (“come se una tigre mi stesse saltando addosso alle spalle” avrebbe detto più tardi), Aleksei Leonov si scoprì avvolto dalle note di una musica classica piovutagli addosso direttamente dalle stelle.

 

Un’esperienza piuttosto comune, stando alle confessioni dei cosmonauti, sarebbe anche la percezione spesso agghiacciante di invisibili presenze. Uno degli intervistati ha rivelato, sotto promessa di anonimato, di aver ascoltato un lungo discorso nel corso di uno di questi stranissimi incontri. “Sono un tuo antenato” lo avrebbe avvertito una voce senza corpo. “Sei arrivato troppo presto. Non restare qui. Ritorna sulla Terra. Non violare le leggi del Creatore”. Esperienza, questa, che ricorda uno dei passi più mirabili di 2010 L’anno del contatto, il libro di Arthur C. Clarke portato sul grande schermo da Peter Hyams. Come è innegabile che suggestioni kubrickiane segnano tutte le percezioni musicali dello spazio profondo. Ma nella casistica compilata dal prof. Butusov, non mancano sprazzi di una qualche originalità, se non altro perché le affinità non potrebbero essere ricercate nei fin troppo facili riferimenti cinematografici. Serghei Cricevski, per esempio, ha sperimentato la trasformazione nell’essere di un’altra razza. “Mi sembrava di essere diventato un dinosauro e di muovermi con le mie grosse zampe su un pianeta sconosciuto”. Qualcosa di non diverso da quanto provato dal protagonista di un breve racconto lovecraftiano del 1935, "Sfida dall’infinito", e di molto simile alla sfida sostenuta da Abelard Lindsay ne La Matrice Spezzata di Bruce Sterling, di molto posteriore. Mentre per i resoconti di Valeri Sevastianov e Ieri Glaskov il termine di confronto potrebbe essere il Solaris di Stanislaw Lem, con le sue invarianze di scala che alludono alla geometria frattale e il viaggio a ritroso nella memoria: Sevastianov avrebbe avvistato, dall’abissale distanza di 300 chilometri, “la città di Soci, le strade, la casa a due piani dove sono nato”. Glaskov, dal canto suo, avrebbe invece scorto una stradina brasiliana, con in mezzo un autobus azzurro.

 

Miraggi da spazio profondo? Allucinazione da disagio gravitazionale? Su queste visioni il mondo è pronto come sempre a spaccarsi a metà. Da una parte gli scettici, che sospettano confessioni artefatte per arrotondare le misere pensioni statali, e i razionalisti, convinti che l’esperienza estrema del vuoto, immersi in assenza di gravità nel buio e nel silenzio esterno, sottoponga inevitabilmente il sistema nervoso umano a una grave condizione di stress. Dall’altra i possibilisti che, se non proprio inclini ad accettare la versione della regia aliena cara a X-Files, almeno ammettono l’eventualità che là fuori, in un ambiente alieno e ancora largamente sconosciuto all’uomo, possano succedere cose altrettanto inconcepibili per l’esperienza umana.