Scritto nel 1952 all’età di 29 anni, Piano meccanico (Player piano) è il primo romanzo di Kurt Vonnegut jr., l’autore di Mattatoio 5, uno dei più importanti testi del XX° secolo contro la guerra.

In un futuro non troppo lontano, dopo una guerra, l’America vive nel benessere grazie all’impiego su vasta scala della meccanizzazione. Le macchine hanno sostituito l’uomo in ogni lavoro manuale. La società è divisa in due. Da un lato un pugno di tecnici e manager, che proprio durante l’ultima guerra hanno imparato a produrre senza le maestranze richiamate sotto le armi, dall’altro tutti coloro che il basso quoziente d’intelligenza condanna a un lavoro manuale che oggi non esiste più. Paul Proteus è il tecnocrate più giovane e promettente, colui che è destinato a diventare leader dei manager in questa società che ha nelle macchine il proprio fulcro. Proteus, spalleggiato da un’ambiziosa moglie, più si avvicina al ruolo a cui è stato destinato più i dubbi su ciò che l’America è oggi si insinuano nella sua mente. Infiltrato dai suoi capi in una bislacca setta rivoluzionaria, Proteus sfugge al loro controllo e diventa rapidamente il capo dei congiurati. I cittadini si sollevano e si gettano su quello che credono il loro nemico: la civiltà delle macchine. Ben presto, tuttavia, si accorgeranno che l’obiettivo era sbagliato. La civiltà ha bisogno delle macchine e i ribelli, incapaci di cavarsela senza il loro aiuto, si vedranno costretti a ricostruirle.

Quella di Vonnegut non è solo una denuncia contro la società tecnologica, di cui l’America era, ed è, la principale artefice, ma anche contro una certa massificazione della vita che annienta l’individualità dell’uomo. Paul Proteus, il protagonista del romanzo, matura a poco a poco la consapevolezza che l’affidare alle macchine il lavoro che per secoli l’uomo ha compiuto con le proprie mani e il proprio intelletto è una strada sbagliata. Ma non solo. Quella che si è realizzata, nel nome della liberazione dell’uomo dalle fatiche inflitte dal lavoro e dagli affanni della vita, è una vera e propria dittatura. Non sono quindi le macchine il bersaglio da colpire, ma quei burocrati-tecnocrati che di esse si sono servite per dominare gli altri uomini.

Non c’è dubbio che con questo romanzo - ripubblicato da Feltrinelli nella collana I Narratori per la traduzione di  Vincenzo Mantovani - comincia a delinearsi quella satira che caratterizzerà ben presto una larga fetta della produzione letteraria dello scrittore americano, da Ghiaccio Nove (1963) a Galapagos (1985), fino a Hocus pocus (1990).

Nonostante sia un’opera prima, Piano meccanico regge bene, grazie soprattutto ad una trama lineare e al memorabile ritratto sia del protagonista sia dei personaggi secondari.

La lenta maturazione del dottor Paul Proteus, con il ripudio della propria identità di manager, in quanto direttore del prestigioso stabilimento di Ilium nello stato di New York, è motivata da una inquietudine di fondo che Vonnegut sembra associare a una parte dell’America, a quella parte che non ha mai amato e accettato il ruolo di “pacificatore del mondo” che gli Stati Uniti si sono attribuiti a partire dalla Seconda Guerra Mondiale .

Alla lucida vicenda del protagonista, Vonnegut – nella trama del romanzo - alterna la cronaca della visita di uno scià di un paese orientale che, davanti alla tecnologica società americana, contrappone la propria visione del mondo fondata sui valori umani. Non è neanche troppo velata anche la critica che lo scrittore americano muove ad un certo modello economico fondato sul capitalismo. 

Questo primo romanzo, insieme a Ghiaccio Nove e Le Sirene di Titano, forma, per alcuni critici, il trittico dei romanzi di fantascienza di Vonnegut, al quale l’etichetta è stata comunque stretta fin dall’inizio. Del resto lo scrittore americano aveva lavorato come pubblicitario alla General Eletric, sostenendo che Piano Meccanico era scaturito dalla sua volontà di raccontare una realtà in cui le macchine erano protagoniste assolute.

Le note biografiche dell’autore ci dicono che a 21 anni, nel 1943, si arruola nell’esercito americano. Che nel 1944 sua madre muore suicida e lui viene catturato in Germania, dove nel 1945 sopravvive al bombardamento di Dresda. Poi viene rilasciato e negli Stati Uniti riceve una medaglia per le ferite subite in guerra.

La sua narrativa non può, quindi, prescindere da un certo pessimismo di fondo, filtrato attraverso la lente della satira. Un pessimismo che nasce dalla consapevolezza che il sistema dei poteri forti – così come le macchine nel romanzo – non può che essere combattuto in prima istanza da chi quel sistema ha contribuito a costruirlo e a renderlo un efficiente macchina da guerra. 

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