Delos 20: Racconto racconto di Andrea G. Colombo

LE GRIDA

NON SMETTONO MAI
Gridano. Li sente litigare per l'ennesima volta. Tenta di ignorarli, ma ogni suo sforzo viene fracassato come un fragile cristallo da rozze urla pesanti come pietre. Impossibile rimanere indifferenti. Le loro voci stravolte dalla furia si possono udire fino in strada: colano come melma maleodorante dalle finestre lasciate aperte per non soffocare in quella rovente serata di luglio.

Mamma. Papà. Basta, vi prego. Il cuore azzannato dalle fauci implacabili dell'angoscia, lo stomaco ridotto ad un grumo doloroso e pulsante. Soffre, come ogni altra volta che ha sentito i suoi genitori litigare tra loro. Identico il copione: motivi banali, futilità quotidiane dello stesso peso di una piuma, divengono bubboni purulenti che si gonfiano, si gonfiano sino a scoppiare.

Loro non ci fanno più caso, ormai. Lui sì.

Le mura sono vergognosamente sottili: le voci lo raggiungono nella camera ancora forti e vibranti di collera e lui si fa sempre più piccolo, sempre più spaventato. Si schiaccia in un angolo e precipita in se stesso come in un buco nero per sfuggire a quell'universo di odio. La materia collassa, si schiaccia, preme, scalpita. Il bisogno di urlare, di dare sfogo alla pressione enorme che quasi lo soffoca è incontenibile; si morde un labbro, stringe i pugni sino a farsi male, resiste. Tanto non otterrebbe nulla. Le grida non smettono mai.

Deve fare qualcosa, non può più rimanere inerte mentre l'ansia lo fa a pezzi con i suoi denti aguzzi. Si stacca dal muro e avanza silenzioso verso la porta. Schegge acuminate d'insulti lo trafiggono perforando il legno dell'uscio.

Per favore... basta, non litigate più, vi prego, vi prego, vipregovipregoviprego... Ma le preghiere non servono a niente, ormai dovrebbe saperlo.

Uno schianto di vetri improvviso.

Sobbalza spaventato; occhi sgranati e cuore che schizza oltre la barriera del suono.

Un bicchiere. E' solo un bicchiere innocente, lanciato con rabbia assassina, che s'infrange al suolo come le sue speranze di una famiglia serena.

Si allontana tremante dalla porta. Le mani premute sulle orecchie. Ora piange. Vorrebbe evitarlo - è grande ormai - ma non riesce, è più forte di lui. Lacrime calde e silenziose corrono sul suo viso lasciandosi dietro una scia rovente. Forse gli rimarranno dei segni... forse a furia di piangere le lacrime scaveranno nelle sue guance solchi profondi che lo marchieranno a vita.

Con uno scatto epilettico della mano si asciuga il volto. Basta piangere.

Silenzio. Cade improvviso come un tendone pesante e polveroso gettato da una finestra. Accosta trepidante l'orecchio alla porta. Non può fare a meno di alimentare le braci mai spente della speranza e il fuoco divampa, arde, consuma l'oscurità con la sua fame di luce. Il suo cuore batte forte, vampate di caldo gli infiammano le guance. Trattiene il fiato in attesa.

Dio, ti prego, fa che non urlino più, fa che abbiano fatto pace...

Tutto esplode nuovamente, più forte di prima, più crudo di prima. Ormai dovrebbe saperlo...

Le grida non smettono mai.

-- Sei uno schifoso egoista! -- La mamma.

-- Piantala di rompermi le palle. -- Il papà.

-- Non ti sopporto più, pensi solo a te stesso e te ne freghi altamente di tutti gli altri, me compresa.

-- Guarda che il problema è tuo! Sei tu che vedi tutto solo come lo vuoi vedere.

Non sa per quale motivo stiano litigando. Per lui non ha nessuna importanza; non sono le cause che lo turbano, ma gli effetti. A loro interessa solo rovesciarsi addosso tonnellate di rancore bollente; sembra quasi che si divertano, più gridano e più ci godono. E intanto lui soffre, soffre come nessun altro essere umano ha mai neanche lontanamente immaginato di poter patire. Il suo dolore e la sua disperazione sono una pioggia di fuoco dopo mesi di siccità, un letto di cocci di vetro dopo giorni d'insonnia, un giorno senza alba, una sera senza tramonto. Forse loro lo sanno, sanno che le loro urla lo feriscono, lo fanno stare male e annichiliscono il suo cuore, eppure pare che non gl'importi. Anzi, è probabile che questo li faccia divertire ancora di più, che questo faccia parte dei loro piani. Gridano perché sanno che lui soffrirà per questo, gridano per punirlo, litigano perché lui possa capire la sua colpa: l'essere nato.

Sente qualcosa scattare in lui. Capisce subito cos'è. Succede sempre.

Rabbia.

Fredda, devastante, incontenibile rabbia tagliente. Cresce in lui allo stesso ritmo delle urla sempre più violente che straziano i suoi timpani. Affilata come un rasoio, si fa strada nel suo petto lacerando e tagliando.

Posa la mano sulla maniglia della porta. Fredda. Come la rabbia.

-- Chissà cosa mi è saltato in mente il giorno in cui ho accettato di sposarti!

Spinge piano sino a che il meccanismo non scatta con un suono lieve e furtivo.

-- Ma se mi hai rotto l'anima per un anno con 'sto fatto del matrimonio! Eri tu quella tanto ansiosa di sposarti. Fosse stato per me...

La porta ruota sui cardini ben oliati senza cigolare. Le urla ora lo investono ancora più forti di prima. Anche la rabbia diviene più forte. E più affilata.

-- Cosa? Se fosse stato per te, cosa avresti fatto, sentiamo.

Avanza nel buio lungo il corridoio, passo dopo passo rasente il muro, silenzioso come una lacrima sulla guancia di un bambino.

-- Me ne sarei stato per i cavoli miei. Ecco cosa avrei fatto. Vita da re!

Si ferma. Alla sua sinistra la porta aperta della cucina. La pallida luce malata che fuoriesce dalla stanza insieme alle urla disegna sul pavimento del corridoio le loro ombre agitate.

-- Sentilo! Sentilo il farabutto!

Infila una mano in tasca. Non urlate più, mi fa male, tanto male. E' un pezzo di ghiaccio. Mani fredde, viso freddo, cuore freddo. Freddo come il metallo che accarezza con la mano.

Freddo e tagliente.

-- Chi sarebbe il farabutto?

-- Tu! E ringrazio il cielo di non avere avuto figli, altrimenti con un padre come te...

Mamma. Papà. Estrae la mano dalla tasca. Lampi d'acciaio. Freddo e tagliente.

Come le urla.

Come la sua rabbia.

-- Sì, sì, va bene, fai pure le tue battute del... ehi! Chi è lei?

-- Oddio, guarda! Un coltello! Ha un col...

Ancora grida. Più acute, stridule, disperate. Queste, però, non gli danno fastidio, anzi, si avviluppano attorno a lui tessendo un morbido bozzolo di benessere. Basta, mamma. Basta, papà. Niente più litigi ora, niente più grida.

Ansima. Affaticato ma pago. Ora ascolta il silenzio, così dolce, caldo e accogliente da commuoverlo. Fissa i loro volti screziati con sguardo carico d'amore. Hanno fatto pace. Non urlano più. E' contento, soddisfatto. Felice. Solleva la lama: completamente rossa; non brilla più. La pulisce accuratamente con il fazzoletto mentre esce dalla stanza, diretto alla finestra dalla quale è entrato in casa. Appena fuori si ferma, assorto, ad ascoltare il mormorio della sera.

Ascolta.

Ascolta.

In lontananza. Eccole. Ancora. Le grida, in quella casa laggiù. S'incammina con passo deciso.

Papà, mamma, non urlate, non urlate più, vi prego.

Ma le grida non smettono. Non smettono mai.