Urania compie 70 anni e la notizia che Franco Forte ha curato per Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport una collezione di 25 romanzi, quasi una degustazione della fantascienza pubblicata fino ad ora nella collana, mi ha spinto a riflettere sul ruolo dei libri e della parola scritta.

Intendo quel tipo di parola che usano i narratori, quello strumento con il quale cercano di trasmettere emozioni, visioni, idee e storie ai lettori.

I libri stampati, da qualche anno, sono stati affiancati dagli ebook e anche dagli audiolibri, che però non potrebbero comunque esistere se ad un certo punto qualcuno non avesse deciso di mettersi ad una tastiera o prendere in mano una penna o una matita e iniziare a creare ambiente, personaggi e trama.

Leggere è una delle esperienze più private che l’essere umano possa vivere. Siamo da soli, con la pagina scritta, affrontiamo le prime parole e poi ci troviamo dentro la storia, i personaggi hanno volti, voce, aspetto che solo noi gli attribuiamo, le ambientazioni vivono di colori che solo noi immaginiamo, e se lo scrittore ha fatto bene il suo lavoro ci troviamo così presi dalla trama che staccarcene è quasi impossibile.

In altre parole, noi siamo il regista, lo scenografo, il costumista e gli attori.

Quello che la nostra mente ci dona in privato è qualcosa di completamente diverso (attenzione, non meglio o peggio) rispetto al binge watching di una serie o di una saga cinematografica dove, per la specificità del medium, sono le immagini a prendere il posto delle parole, offrendoci un alimento, per così dire, predigerito.

E gli esseri umani hanno bisogno di queste parole, così come delle immagini.

Chi si interessa di neuroscienza afferma che lo stimolo elettrico prodotto dalla lettura nel cervello contribuisce al benessere della mente aiutandoci a  “recuperare fiato” dall'inflazione di parole dette, scritte e vaganti nei social, alla radio, nelle reti televisive, specialmente in un periodo come questo nel quale stiamo sperimentando non solo la pandemia da virus ma anche quella da quantità esagerate informazioni non sempre richieste ed utili per la quale è stato coniato il termine di “infodemia”.

Un libro (e parliamo anche di libri non di narrativa) è un’opera fatta e finita che veicola una storia e delle idee sulle quali l’autore ha lavorato anche attraverso il processo dell’editing, dunque non sono parole lanciate di getto su un’onda emozionale e sulle quali non si può più tornare a modificare nulla. È questa caratteristica che assegna ad ogni libro un suo valore intrinseco.

D’accordo, sembra proprio che attualmente tutti scrivano libri, anzi, sembra quasi che ci siano più scrittori che lettori, e non solo, l’editoria attraversa una profonda crisi perché le vendite non sono più quelle di una volta, le materie prima diventano sempre più costose  e una casa editrice non è poi un ente benefico, quindi (e qui specialmente nel mainstream, quello che compare nelle classifiche di vendita dei libri) per cercare un guadagno si vedono spuntare Bestseller che sono tali solo perché scritti da personaggi famosi che con la scrittura, talvolta, hanno ben poco da spartire, però, ammettiamolo, è pur sempre un modo per sopravvivere e provare ad avvicinare nuovi lettori al fantastico mondo dei libri.

Se siamo qui a scrivere e a leggere Delos Science Fiction è anche perché settanta anni fa uscì il primo Urania offrendo a noi tutti la possibilità di leggerne uno e rimanere per sempre affascinati dalla fantascienza. E dunque l’invito per festeggiare questo evento non è solo di acquistare la collana intera o qualche romanzo che magari manca alle vostre biblioteche casalinghe, ma soprattutto quello a non smettere mai di dedicare un po’ del nostro tempo alla lettura, magari sacrificando una notte di sonno per finire una trama appassionante come succedeva all’epoca dei tascabili bianchi con le copertine di Karel Thole.

Perché, come ha detto Michel Foucault: “Per sognare non bisogna chiudere gli occhi, bisogna leggere.”