Sfinito, dopo aver strisciato a lungo sul terreno umido, si fermò e si arrischiò a esalare un forte sospiro. Ormai doveva essere abbastanza lontano da occhi e orecchie che potessero percepire la sua presenza. Si girò, con il viso non più rivolto verso il terriccio ma verso il cielo notturno. Contemplò silenziosamente le stelle. Riconobbe la costellazione di Mainzel, con al centro la stella scarlatta di Fiech, e il gruppo delle Dieci Dita. Scorse poi la piccola luce lampeggiante che da molti mesi attirava l’attenzione sua e dei suoi commilitoni. Il cielo stellato era uno spettacolo che non aveva potuto ammirare nella sua interezza per molti anni: il fumo dei cannoni, dei fucili e delle bombe-nebbia, onnipresente, velava il cielo per buona parte della giornata; a notte inoltrata, quando il fumo si diradava quasi completamente, aveva ben altri pensieri per la testa. Dormire, se possibile. E sorvegliare la terra di nessuno.

La distanza tra i due fronti era di due chilometri circa; la lunghezza, approssimativamente 4500. L’intero continente meridionale del pianeta Iubal era tagliato a metà dalle trincee scavate nel terreno, per migliaia di miglia. La guerra durava da ventisei anni. I morti, fino ad ora, secondo una stima che circolava tra i generali di ambi i fronti, erano stati all’incirca due milioni. Pochi, molto pochi se si teneva conto della durata di quel conflitto, e del fatto che di quelle vittime circa cinquecentomila erano morte nelle trincee, per malattie logoranti, dopo lunghe febbri. Due generazioni si erano date il cambio nel corso della guerra, ma i governanti erano rimasti gli stessi e le ragioni dell’odio non erano venute meno. Nori Ry Brunnig aveva ventidue anni, e combatteva da quando ne aveva diciotto. Aveva sostituito il padre, combattente per due interi decenni, decorato con tre medaglie al valor militare; nel corso della guerra, suo padre aveva perso entrambe le gambe, buona parte dei denti, e l’udito. Quando era tornato a casa, Nori non l’aveva neanche riconosciuto, avendolo visto solo nelle foto che gli aveva mostrato la madre. Né aveva avuto il tempo di conoscerlo: ad accompagnare suo padre costretto sulla sedia a rotelle erano venuti due alti ufficiali, che mezz’ora dopo avevano lasciato la casa prendendo in consegna Nori e i due suoi fratelli. Era il cosiddetto “passaggio di testimone”.

Nori stava riprendendo fiato lentamente. Si arrischiò ad alzare un po’ la testa, guardando prima davanti a sé, e poi dietro. Le luci e i fuochi delle trincee erano visibili, ma molto lontani. Doveva essere arrivato quasi esattamente a metà strada tra i due fronti. Nel cuore della terra di nessuno. Ma Nori sapeva che le cose non stavano esattamente così. A quel pensiero, il cuore gli si strinse al ricordo di Shibai; l’idea che lo aveva spinto a intraprendere quel disperato tentativo non era stata sua, ma del suo commilitone… del suo amico, Shibai. Lui lo aveva messo per primo al corrente della verità sulla “terra di nessuno”, quella verità a cui si era aggrappato con tutte le proprie forze nel corso di quegli anni di guerra inutile. Shibai non era con lui ora, per sapere se quella storia fosse davvero una verità. Ma era morto con la convinzione che lo fosse, e per lui questo bastava; ora toccava a lui cercarla.

Shibai glielo aveva detto circa tre mesi fa, quando entrambi erano impegnati nel turno di notte alla torretta orientale. Nori era stato il primo a vederli, e lì per lì aveva creduto che si trattasse di un gioco di ombre. Aveva preso il binocolo, per quanto nel buio non servisse praticamente a niente. Shibai aveva seguito il suo sguardo, e si era irrigidito. - Non fiatare -, gli aveva intimato. Nori si era tolto il binocolo e si era girato verso di lui: - Cosa? -, aveva domandato incredulo.

- Non dare l’allarme -, insisté l’amico. - Non sono nemici. Se ne andranno subito.

Infatti se ne andarono di lì a pochi secondi, abbastanza però per dare a Nori la certezza che si trattasse di persone. Esseri viventi nella terra di nessuno. Nel cuore della notte. Potevano essere solo pattuglie nemiche. - Perché diavolo non dovremmo dare l’allarme? Chi vuoi che siano? Se fossero dei nostri, i superiori ci avrebbero avvisato prima! -, esclamò Nori.

Shibai sembrava però sapere il fatto suo. - Sono gli Invisibili -, spiegò. - Abitano la terra di nessuno. Vivono lì, sotto il livello del suolo, ed escono solo in pochi di loro a notte fonda per prendere le armi e le munizioni dei soldati morti, e tutto ciò che può essergli utile. Non sono dei nostri, né dei loro. Dicono che convivono entrambi, noi e loro, sottoterra. In pace. Non sono un pericolo.

Nori lo aveva osservato come se fosse impazzito. Non aveva mai sentito una cosa simile. Era una totale assurdità. - Ma che storie vai raccontando? -, chiese quasi ridendo. - Gli Uomini Neri? Ma andiamo! Hai letto qualche favola della buonanotte?.