Quando il campanello suona, guardo il numero sul pannello, abbasso gli occhi, tiro fuori dal taschino il solito rettangolo di plastica grigia e leggo per la centesima volta: Fila G - N° 2041.

C’è ancora tempo, in fondo sono qui solo da sei ore. Il numero è fortunato, me lo sento, la somma dà 7, proprio come quando ho trovato quel posto niente male: una settimana intera, da domenica a domenica, solo a 40 chilometri. E da seduto, anche. Mi esce un sospirone, al ricordo. Stava andando tutto liscio, le solite dieci ore – nove e trenta più la pausa mensa - e al quarto giorno non mi arriva tra capo e collo l’ascesso al dente? Così ho dovuto mollare. Con la febbre addosso sono già andato tante volte a lavorare, come tutti, è normale, ma il dente mi faceva così male... Non ce l'ho proprio più fatta a stare dietro alla produttività. È andata così, pazienza.

E quell’altra volta? Ho ancora i brividi tutte le volte che mi viene in mente: dicembre, un posto da due notti a inserire dati in cantiere, all’aperto sotto una tettoia, unica luce il pulsare blu dei monitor. Il freddo che ho patito. Dopo quella volta mai più, per fortuna. Comunque allora la somma dava 4, brutto numero, sfigato.

Ho fame, mi sento un buco nello stomaco. In pratica l'ultima volta che ho fatto un pasto vero è stato l'altroieri, l'ultimo giorno del lavoro alla tavola calda. Mmm, quelle crocchette...

Basta, non devo pensarci.

Guardo la fila di teste davanti a me che ondeggia un po' ma resta più o meno ferma. Ci sono capelli di tutti i colori, qualche donna col fazzoletto, anche tre o quattro teste pelate.

Sulla parete in fondo i vetri degli sportelli sono illuminati, le lettere arancione della fila spiccano sul nero del tabellone. Più in basso si intravede la luce azzurrina dei monitor che ogni tanto spunta tra le schiene. C'è un sacco di gente, come sempre, le venti file regolamentari ci sono tutte e tutte piene, una persona ogni mezzo metro, più o meno. C'è un'aria pesante, di sudore e di corpi non lavati, un errore che fanno in tanti, pensano che quello che conta sono i documenti, le referenze, l'età. Invece l'apparenza è importante, quando arrivi lì devi essere a posto, pulito, pettinato, possibilmente vestito di grigio o di marrone, niente cose troppo colorate o strane. Ne ho visti, specialmente donne, che andavano via piangendo perché il computer aveva sputato "abbigliamento non conforme", eppure c'è sempre qualcuno che ci casca. Guarda quello, ha i capelli azzurri e l'orecchino, sta buttando via il suo tempo. Se proprio ti piace, dico io, comprati una parrucca, come fanno in tanti, no? Io cerco di essere sempre a posto, barba fatta, camicia pulita, eppure quando sei lì davanti, con la lucetta del sensore che va su e giù a controllarti tutto, un po' di tremarella ti viene, e i dubbi dell'ultimo minuto: avrò i capelli in ordine? Le scarpe pulite? Mica avrò troppe occhiaie, sono segno che sei stanco, uno già stanco prima ancora di cominciare non lo prendono.

Do un'occhiata indietro verso la porta e vedo ancora gente che arriva. Poveri illusi, non hanno ancora imparato che se arrivi dopo i primi cinquanta non c'è niente da fare, soprattutto all'inizio del mese. Credono ai miracoli, si vede. Butto uno sguardo al tabellone e proprio adesso suona di nuovo il campanello, il numero è 1032. Un altro che ce l'ha fatta.

Il tipo qui davanti ha sulla schiena l'animata di una birra con la scritta Bevete Rud e sulla testa la cuffia di uno di quegli ologrammi a 3D con la luce giallo acido che si vede anche da lontano. Un pubbli. Strano, trovarlo qui, di solito il contratto pubbli dice che devi stare in strada almeno dieci ore al giorno. Anzi, per lo più di notte.

Io non voglio dire, certo che quando hai fame non è che stai a guardare tanto, ma quello è un contratto che non mi piace proprio, l'unica volta che mi è capitato mi sentivo un cartellone con le gambe, tutti guardavano solo la scritta, potevo essere una scimmia che non se ne accorgeva nessuno. La cosa peggiore è l'insegna sulla testa, ronza e dà fastidio agli occhi, secondo me a lungo andare ti fa anche venire qualche malattia.