In controtempo è un volumetto che presenta otto racconti di Massimo Citi in una collana di nuova creazione (CS_libri editrice, pagg. 171, euro 14,00). L’autore risiede a Torino e, unitamente a Silvia Treves, è già noto a chi abbia dimestichezza con la narrativa fantastica: entrambi sono scrittori, curatori, librai, organizzatori di convegni, editori (la rivista LibriNuovi, le antologie periodiche Fata Morgana e Alia. L’arcipelago del fantastico).  

Probabilmente una domanda che si pone il lettore di In controtempo è cosa sia in realtà l’inafferrabile genere letterario definito "fantastico". Domanda che non nasce oggi ma rimane sempre attuale. Per esempio, in Vetro di seta (storia che apre l'antologia e resta una delle migliori), assistiamo a eventi minimali che hanno per protagonista Giulia, psicologa neolaureata, impegnata in un lavoro insolito. Coadiuvata da un fisico, la ragazza si occupa di fonoregistrazioni in un imponente hotel, Villa Delfi, che vide splendori nel Ventennio ma ora è quasi un rudere. Le registrazioni, commissionate da un non meglio precisato Centro, dovrebbero cogliere voci e rumori del passato: segni di vita, insomma, di chi in vita non è più. Di fatto però gli unici "fantasmi" che circondano Giulia sono poche persone che si aggirano nell'ampio edificio: la cinquantenne Frau Helena "perennemente in abiti leggeri e fiorati" e con tendenze lesbiche; la professoressa Ester Delfina, l'avvocato Meneghelli. Più ingombranti si rivelano altre presenze, in foto d'epoca, di chi frequentò il luogo ai tempi del suo splendore: "i bambini, le maestre con il costume da bagno nero che arrivava alle ginocchia e il collo alla marinara, i cori davanti al mare, le foto del Re e del Duce nella sala da pranzo..." Ma soprattutto Olga, che sembra fissarla da un’antica foto color seppia. Chi è, chi fu Olga? "[Giulia] ha paura di lei. Ma no... Vuole piacerle, teme che prima o poi il suo sguardo non le dimostri né piacere né fastidio…" La storia rivela un impossibile amore proibito.

Cambiamenti impercettibili registra l'incancrenito ménage familiare del protagonista, il suo deserto di sensazioni e sentimenti mentre egli assiste, o crede di assistere, a improvvise mutazioni di angoli secondari, nascosti, del panorama cittadino. Gocce descrive lo sprofondamento nel buio degli "inferi urbani" del personaggio, accompagnato dall'ossessivo martellare d'una fontana che perde acqua. Linea di confine presenta momenti in cui la realtà sembra vacillare, la tv si accende ostinatamente da sé, rimanda immagini impossibili. “La polvere... E' venuta prima di Tutto e dopo Tutto se ne andrà. E' lei l'unica vera Divinità. Come Dio è in ogni luogo, riempie lo Spazio oltre lo spazio. Lei fredda, leggera, dal sapore di sangue” (Polvere).

Siamo soliti identificare il genere fantastico con storie del paranormale, del soprannaturale. D'altronde è evidente che al genere appartengono i racconti di Massimo Citi. Eppure in nessuno d'essi ci imbattiamo in mostri, fantasmi o fanta-tecnologie. Ma esiste un’altra "linea di confine" oltre la quale cambia la natura del reale: il fantastico è celato nelle pieghe degli eventi quotidiani, in misteri mai chiariti, ricordi impossibili, realtà sfilacciate, apparenti intermittenze della causalità, tempi che sembrano scorrere fuori del tempo, luoghi che si deformano. Memorie (forse) di altre vite o di mondi paralleli, esseri umani la cui psicologia va alla deriva.

Uno dei personaggi dichiara: "In altri momenti sono certo che la mia franchigia sia interminabile, come se fossi riuscito a imboccare una linea retta che mi allontana sempre più dal cerchio obbligato della realtà. Immagino un futuro in cui i punti di contatto con il mondo reale diverranno sempre più sporadici, inconsistenti..." Siamo in un fantastico soprattutto psicologico, tra i più ardui da ottenere ma forse il più verosimile, dunque quello con cui più facilmente il lettore può - con inquietudine - trovarsi connivente. Parte essenziale nel "gioco" ha la scrittura. Quella di Citi -  controllatissima, essenziale, densa, di eccellente spessore - sembra fotografare minuziosamente il reale eppure rimane ellittica, mai definitivamente chiara pur lasciando "intuire".