Mangiavamo cuscus, ceci, qualche pomodoro, foglie di menta; una donna cantava nella notte, il vento ricopriva di chiazze di sabbia la pista che scendeva verso il cuore africano, un rumore lontano di un motore ricordava agli abitanti di Cuffra il nome del secolo in cui stavamo vivendo. Io passavo i miei giorni con Art Decad dividendo il silenzio che ci stritolava, il caldo, l'assenza di stimoli esterni, di colori e di movimenti. Camminavamo nel deserto leggendo le pietre arse e io attendevo lo stillicidio delle sue parole. Mi porse una pistola e mi insegnò a sparare, mi raccontò la morte quando questa giunge deliberatamente, ingiusta, prematura.

- Una persona non può ucciderne un'altra - diceva stringendo la sabbia incandescente nel pugno. - Solo il vento, il mare e i fiumi, la foresta, la terra possono. Potrai uccidere solo dopo che sarai diventato il deserto, il temporale, la cascata, il gorgo, un albero secolare che cade lacerando il brusio della foresta.

Frank aiutava Peter e odiava il contatto, fumava il tabacco degli africani e pensava alla sua collezione di CD irrorata di gas nervino. Sua figlia Marzia abitava a Zurigo, al sicuro, e questo lo rendeva felice.

Infine il destino si arrese alla nostra determinazione e un'esile traccia del traditore finì nella trappola che l'attendeva. Pochi byte che vennero tracciati in giro per il mondo, un programma rudimentale che era andato a bussare al nostro vecchio indirizzo, come aveva già fatto parecchi mesi prima. Per il soft di Mandala e Frank fu uno scherzo stargli dietro fino a un accredito American Express a Lúderitz, in Namibia. Forse quello che leggevamo sui cristalli liquidi del portatile non era il suo vero nome, ma, probabilmente, se ne serviva spesso.

Passammo la notte all'aperto, svegli, per preparare il corpo alla partenza, per diventare il frastuono improvviso dell'albero che cade.

Lúderitz, Namibia, 7 giugno 1999

Approdare a Lúderitz era stato un sogno assurdo. Un frammento della vecchia Bavaria, pulito e colorato, con le case di legno e i tetti dalle geometrie folli, le vetrine delle pasticcerie che esponevano i dolci tipici della Germania meridionale. Venivamo da una notte trascorsa tra la polvere delle miniere di diamanti abbandonate, davanti al fuoco alimentato dal legno di una porta sfondata, accompagnati da fantasmi che non ci abbandonavano neppure per un istante.

L'abitato di Lúderitz era il museo urbano del colonialismo tedesco in Africa, e i neri sembravano turisti in visita alla propria terra. Poco distante dal posto di polizia, uno stabile dalle finestre verde mare, si trovava il ristorante in cui l'American Express di Rainer Gucumatz aveva saldato un conto per due persone. Secondo Peter, Rainer Gucumatz, uruguayano, era il nostro vecchio contatto.

Il ristorante era vuoto; oltre i vetri e le tende di pizzo bianco, le sedie erano poggiate sui tavoli, con le gambe rivolte verso l'alto. Girammo attorno al locale, indecisi sul da farsi, scrutando dentro il locale deserto. Peter aveva scaricato dal sito FTP di Oracle una runtime di Soft Zoo, procedure olografiche tridimensionali in grado di simulare la presenza di animali. Da quel momento un serpente corallo era costantemente avvinghiato al suo corpo. L'unità omeostatica del rettile virtuale connetteva alcuni riflessi involontari di Peter a moduli software che modificavano il comportamento della runtime. Così il serpente visualizzava lo stato d'animo di Peter, sibilando, muovendosi nervosamente, o dormendo, raccolto a spirale attorno a un braccio. I bambini di Lúderitz osservavano il serpente, e nei loro sguardi rapiti si leggeva il conflitto di incredulità, stupore, consapevolezza.