La sf italiana avrebbe potuto dare di più? E se sì, a quali condizioni, o chi/cosa l'ha frenata? Com'è possibile che in 50 anni non si sia formato un gruppo di autori, come in altre nazioni (Francia, Germania, etc.)? Come "sarebbe dovuta" o "dovrebbe" essere una "fantascienza italiana"? Hanno un senso per te domande simili?

Certo che per me hanno senso. Me le pongo anche io da 30 anni... E' un po' quello che scrivevo su Robot 42, ovvero un problema sullo stato della letteratura italiana. In Italia abbiamo riferimenti deboli per la fantascienza in quanto la letteratura colta è di impronta psicologica, indifferente al mondo esterno, all'avventura, alla tecnologia. Forse gli italiani non credono, neppure dentro di sé, di poter cambiare il mondo, di migliorarlo. La nostra storia triste lo dimostra. Nel 1848, mentre in Europa scoppiano le rivoluzioni, in Italia si inneggia ai Savoia e alla monarchia. Oggi un elemento di novità politica è ancora la Lega che guarda a un inesistente società padana primordiale. Il cattolicesimo ha castrato il castrabile, e il senso di colpa (anche solo per la masturbazione o un furto in un supermercato) può essere segno di una vita intera. Con queste premesse come posso pensare alle stelle, agli incubi di Orwell, ai mondi di Dick? Impossibile, solo una minoranza di spaesati ed emarginati può farlo.

Inoltre copiamo male gli statunitensi perché guardiamo alla fantascienza come a un fenomeno avulso dalla società che l'ha prodotta, non comprendendo i profondi legami culturali che hanno reso viva e significativa questa letteratura.

La strada per la fantascienza italiana la sta tracciando la globalizzazione, con la distruzione di quel deleterio spirito nazionale che ci rimbambisce. Se un domani saremo culturalmente globali, anche gli italiani saranno in grado di lavorare in maniera fantascientifica sulla realtà.

Sei un filosofo della scienza. Cosa rappresenta la scienza per te, oggi? Cosa potrebbe rappresentare fra... trenta, o cinquant'anni, per esempio?

Filosofo della scienza... parole grosse. Essendo un mediocre filosofo della scienza sono ancora popperiano, nonostante questa ascendenza mi dia molto fastidio. Negli anni Settanta molti storici e filosofi della scienza estremisti ritenevano (leggendo Thomas Kuhn in maniera un po' forzata) che nel clima generale di rivoluzione anche la scienza dovesse/potesse alleggerire i suoi dogmi. Pensa, su un muro della Sapienza si leggeva la scritta "W l'elettrone proletario". Da un lato abbiamo tutti i problemi etici che scienza e tecnologie presentano. Problemi irrisolti perché le scienze, da sempre, producono ambigui risultati sulla vita materiale degli umani. Certo non trascuro un prodigioso ed esaltante percorso che parte dalle sfide di Copernico, Galileo, Newton e Einstein, o lo sforzo durato secoli per difendere una concezione materialista della realtà e per sconfiggere le superstizioni; ma, ancora oggi, l'ideale della scienza è circoscritto a pochi: un altro fandom frustrato, superbo, e per molti versi bigotto. Spero che torni la possibilità di vivere in una società permeata di illuminismo. Una società pacifica e in qualche modo edonistica, dove la scoperta scientifica sia un piacere e dove l'uomo possa perseguire un progetto ambizioso di conoscenza del reale. Questo mondo di accumulazione ingiusta non mi piace, un luogo in cui la scienza è snaturata dalla sua ambizione di conoscenza ed è strumento di disuguaglianza.

Certo non tutto è così nero, piuttosto siamo in una zona grigia. Nonostante sia convinto che l'ordine mondiale sia assolutamente indipendente dal contesto politico e sociale, è indubbio che lo scienziato di oggi non può considerarsi semplicemente neutrale. Guarda cosa fa questo governo alla ricerca scientifica... e poi si dicono nazionalisti. Stanno progettando la scientifica sudditanza dell'Italia per almeno una generazione, nei confronti dei paesi più avanzati.