Delos 9: Sf italiana anni Settanta Uno sguardo nel passato per credere nel futuro

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Esiste la fantascienza italiana? Almeno negli Anni Settanta esisteva eccome, ed era di alta qualità.

di Franco Forte

In questi giorni mi sono avvicinato con curiosità e, non lo nego, un po' di trepidazione, come se mi trovassi ogni volta di fronte a una nuova sfida da affrontare, ad alcuni lavori di fantascienza scritti da autori italiani. Un paio di antologie, qualche romanzo, racconti sparsi su riviste varie.
E subito mi sono trovato di fronte a un tipo di fantascienza energico, vitale, moderno e lanciato senza eccessi, ma con puntuale professionalità, verso le mille delineazioni possibili del futuro e della caratterizzazione dall'universo uomo all'interno dei mutamenti e delle sovversioni che la società e i concetti stessi di tempo e di spazio potrebbero subire da qui a dieci, cento, mille anni e forse più.
Una serie di racconti e romanzi davero stimolanti, sempre sorretti da stili differenti eppure colorati dalla stessa patina di rigorosità oggettiva e di pulizia lineare che ne fanno una sarabanda di specchi in grado di rimandare immagini completamente differenti ma sempre contenute in rigide cornici di alta scrittura, il tentativo di uscire dallo stereotipo e dalla ghettizzazione in cui arranca la letteratura del fantastico, affiancando ai guizzi dell'immaginazione i toni per nulla deficitari di una prosa di altissimo livello.
Ho incontrato tutto questo e ne sono rimasto entusiasta, convincendomi ancora una volta che la sfida con la narrativa anglosassone si possa portare avanti e non la si debba necessariamente perdere, anche se la pronuncia di un nome americano stimola quasi sempre un'attrattiva superiore a quella di qualunque firma di un nostro connazionale, vuoi per l'innato esterofilismo dei nostri lettori (ma questo genere di male riguarda anche la musica, le automobili, le vacanze, è una serpe che striscia e morsica qualunque forma di sano nazionalismo solo per il gusto di distinguersi), vuoi per un background culturale che ha sempre messo in risalto la letteratura d'oltreoceano (almeno in questo specifico campo) rispetto a quella nazionale.
Ma c'è un elemento, per quanto secondario, che può stupire al termine di questa mia indagine. Ovverosia le date apposte in calce a queste antologie e a questi romanzi che ho letto tutti d'un fiato e che non ho fatto alcuna fatica a collocare nel mio personale arco temporale di giudizio -- quello che ha plasmato la mia base culturale in ambito fantascientifico e si è alimentato dei vertiginosi progessi della scienza, dunque un'età incapace di stupirsi di qualcosa che non abbia la freschezza e la solidità di un pensiero profondamente moderno.
Una di queste antologie, Destinazione Uomo, edita dalla casa editrice La Tribuna in Galassia ndeg. 113, è del 1deg. marzo 1970. L'altra, Amore a quattro dimensioni, è comparsa esattamente un anno dopo, sempre a cura di un terzetto di curatori d'eccezione: Vittorio Curtoni, Gianfranco De Turris e Gianni Montanari.
I romanzi, come età, non sono da meno: Autocrisi di Piero Prosperi del settembre 1971 e addirittura Satana dei miracoli di Ugo Malaguti, del settembre del '66. Se non sto parlando di preistoria, certamente vent'anni e più sono parecchi, per un lettore del mio stampo che ha cominciato a mangiare da solo e a muovere i primi traballanti passi quando Malaguti sedeva alla macchina per scrivere con l'intento di imprimere sulla carta le invenzioni del suo linguaggio.
Autocrisi è un piccolo capolavoro che io considero attualissimo e che non vedrei male ristampato oggi presso qualche grosso editore, forse meglio senza etichette di alcun genere, con la sua lieve patina retrò che ne farebbe un libro adatto alla sterminata legione di lettori che hanno inneggiato libri come Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta o I sotterranei di Kerouac (per non parlare di tutta la roba scritta dal vulcano Bukowski).
Per quanto riguarda i racconti delle antologie, il discorso si fa necessariamente più lungo e impegnativo, in quanto i mondi e le avventure letterarie con cui mi sono trovato ad avere a che fare sono innumerevoli, e per ogni titolo, per ogni autore, c'è qualcosa da dire e universi interi da scoprire.
Del resto, le firme delle venti e oltre rappresentazioni del fantastico made in Italy si raccontano da sole. Scrittori di altissimo livello come Luigi De Pascalis, Riccardo Leveghi (straordinario il suo Deserto Rosso in Destinazione Uomo), Mauro Antonio Miglieruolo (che è la penna più scoppiettante e dissacratrice del nostro patrimonio di autori e che io ricordo soprattutto per un magnifico romanzo, Come ladri di notte, che credo si debba giudicare una delle opere più valide in assoluto dell'intero panorama della fantascienza italiana dalle sue origini a oggi), Massimo Pandolfi, Maurizio Viano (forse il più raffinato ed elegante, che in seguito ha avuto modo di esprimersi a livelli di eccellenza con il racconto Un bagno di stelle compreso nell'antologia Maturità uscita su Galassia ndeg. 223 del giugno 1977), Cesare Falessi, Livio Horrakh (bravo, corretto e non di rado geniale), Remo Guerrini (che di recente, nel 1992 presso la casa editrice Interno Giallo, ha pubblicato il bel romanzo Strega, e che adesso dirige il mensile scientifico Focus) e naturalmente quei tre abilissimi curatori che hanno voluto apporre il loro sigillo non solo sulla scelta del materiale (quasi sempre caduta tra le rigide griglie di selezione di Gianfranco De Turris) ma anche e soprattutto nella delineazione di una potente espressione narrativa che io mi stupisco, a posteriori, non abbia dato vita a un fermento e a una profusione di autori e di iniziative che avrebbero dovuto coinvolgere l'intero ambiente del fantastico italiano con una genuina spinta propositiva.
Gianfranco De Turris ha scritto due racconti molto diversi l'uno dall'altro eppure accomunati da uno stile parsimonioso e immaginifico, che riesce a suscitare nel lettore un clima di totale compartecipazione con le sensazioni struggenti dei due protagonisti, e persino il tocco a sorpresa del finale, che lascia completamente soddisfatti anche i palati più esigenti, non riesce a emergere con prepotenza dal castello delicato costruito col linguaggio e con la precisa delineazione della psicologia dei personaggi. Così Natale su Miranda (apparso su Destinazione Uomo) e Sulla spiaggia (in Amore a quattro dimensioni, forse la cosa più bella che io abbia mai letto di De Turris), per quanto completamente differenti come impostazione, collocazione temporale ed effetto ottico, se letti conseguenzialmente uno con l'altro sembrano frammenti di una stessa placca dorata che il collante della scrittura riesce a rimettere insieme anche a distanza di tempo.
Vittorio Curtoni è uno scrittore più complesso, più difficile da interpretare, e i suoi racconti restano alla memoria per l'impegno della trama e la struttura narrativa, sempre supportata da uno stile adeguato che non scade mai nel prolisso seppure con altissimi vertici di poesia.
Gianni Montanari, dei tre, è a mio avviso l'autore più classico, anche se le acute invenzioni dei suoi racconti, sempre strutturate in modo che non abbiano brusche sterzate difficili da giustificare, rientrano in modelli che cercano sempre di dare una spinta al grosso contenitore di cristallo entro cui la narrativa si accumula e si evolve. Se il tema dominante di uno di questi racconti, Ad maiorem Dei gloriam (su Destinazione Uomo) è la religione e il conflitto intimo del protagonista con i temi cari alla teogonia divina, senz'altro il fulcro dell'azione è situato in una diversa prospettiva e consente al lettore di darne diverse interpretazioni, per poterle armonizzare con le proprie credenze e con i propri guizzi d'immaginazione.
Sono passati vent'anni dall'avventura di quei romanzi e di quelle antologie (in effetti anche qualcuno di più) eppure tutto sembra morto nell'attuale mare magnum della letteratura d'evasione, principale terra di conquista dei professionisti d'oltre oceano. Non so a chi o a che cosa si debba imputare questa colpa, ma di certo basterebbe che molti giovani andassero a sfogliare queste raccolte o si immergessero in romanzi dello stampo di quelli che ho avuto la fortuna (e il coraggio) di leggere io (anche se l'impresa è difficile, vista l'estrema difficoltà di reperibilità di questi libri), che ci si accorgerebbe che l'humus fertile su cui dare vita a una nostra caratterizzazione della narrativa fantastica esiste e ha già compiuto passi da gigante.
Non occorre fare altro che andarlo a recuperare, in retrospettiva, e leggere con la mente aperta alle meraviglie che hanno già saputo suggestionare altre generazioni, sicuramente più chiuse e meno disposte a credere in un futuro italiano di quanto non lo si debba essere noi che cavalchiamo il secolo pronti a lanciarci nel 2.000 e nelle sue folli speculazioni.
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