Star Wars: L'ascesa si Skywalker è una crepa da chiudere, un delirante miscuglio di idee che vagano nella "Galassia" del web e su i tavolini della Lucasfilm da quando ordinando i bozzetti preparatori per Episodio VII Il Risveglio della Forza (2015) si doveva ricominare da capo, asfaltando una strada spianata di storie  dell'"Universo Espanso" di fumetti libri, videogiochi e romanzi e portando al cinema qualcosa di "fresco e nuovo" potenzialmente apprezzabile per le nuove generazioni a seguito della Space Opera più popolare di tutti i tempi.

Il tutto si sarà affastellato nella mente di J.J. Abrams che, valente del suo team creativo con la conoscenza di Pablo Hidalgo e la benedizione di Kathleen Kennedy, cerca di tirare le somme di una saga non sua, un peso enorme, una catartica fine.

I morti parlano! La voce dell'Imperatore Palpatine (Ian McDiarmid) riecheggia nelle sale di un vecchio tempio misterioso, Kylo Ren (Adam Driver) ultimo degli Skywalker è ora il Leader Supremo del Primo Ordine, che si contrappone alle deboli forze della Resistenza.

Il Generale Organa, Leia (immortale Carrie Fisher) segue l'addestramento di Rey (Daisy Ridley) come una madre silente, la giovane ha "tutto ciò che le serve": la spada laser che fu di Anakin e di Luke Skywalker, una Forza straordinaria, delle capacità senza eguali possiede tutto tranne un'identità, abbandonta da bambina sul pianeta remoto di Jakku ricorda poco dei suoi genitori.

Può contare però sempre sull'appoggio dei suoi amici, vecchi e nuovi, Finn (John Boyega), l'ex assaltatore disertore, Chewbacca (Joonas Soutamo), C-3PO (immancabile Anthony Daniels) e Poe Dameron (Oscar Isaac), il pilota di X-Wing idealista e scapestrato erede della scintilla di speranza della nuova (forse) rinata Ribellione.

La preoccupazione per il ritorno del malvagio Imperatore, giunge fino alle orecchie dei nostri eroi che partono, verso un'"ultima crociata" insieme alla ricerca dei manufatti che conducono ad Exgol il Pianeta dove lo scontro finale li attende.

Risultato: dopo l'Episodio VIII, Gli Ultimi Jedi (2018) di Rian Johnson che aveva uno stampo totalmente differente, Abrams ha tenuto conto delle sue aggiunte e del volere di alcuni "fanboy" per quello che definire un finale soddisfacente è veramente difficile.

Dove nel settimo capitolo aveva fatto un lavoro di sottrazione con la pretesa (fallimentare) di rievocare nostalgia qui ha fatto l'inverso, un lavoro di addizione e di aggiunta, ogni inquadratura è ricca di navi, creature, personaggi, folle, un troppo che non appartiene a quello che siamo abituati a vedere.  Viene in mente che era intenzione fin da principio del progetto di non accontentare il gusto dei "vecchi" fan ma di agganciarne di nuovi, tuttavia quando (non "mille") ma sicuramente quattro generazioni sono così tanto legate a qualcosa, vuol dire che l'unico modo per approcciarsi a Guerre Stellari è quello di non fare azzardi, giocare con le stesse pedine, restare rispettosi e coerenti. Lo hanno capito Dave Filoni e gli altri ideatori della serie TV The Mandalorian, che sta avendo un successo straordinario su Disney+.

Nel film troviamo l'eco delle musiche di John Williams, compositore delle colonne sonore di tutti e nove i capitoli numerati dell'opera. I personaggi nuovi aggiungono curiosità ma non sostanza, i grandi ritorni fanno battere il cuore perché nessuno può restare indifferente a qualcosa di così esplicitamente familiare. Una scena ci porta indietro nel tempo a qualcosa che abbiamo solo immaginato, un'altra ci fa muovere dei nuovi passi dove abbiamo già camminato, un brivido che ci attraversa senza che possiamo fermarlo davanti all'inevitabile fine. C'è qualcosa del ciclo di fumetti Dark Empire (1991) dove "nessuno mai è davvero perduto". Un film così sentiamo il bisogno di vederlo, di commentarlo, di commuoverci anche quando non ci convince del tutto.

Il grande pubblico lo apprezzerà come notevole film di genere. Star Wars per chi lo vive come una passione è una costante e come si dice, anche se questo è il raggiungimento "ufficiale" di una meta, la fine di una trilogia (non di una storia) l'importante non è mai la destinazione ma il viaggio.