Per una volta, proviamo a mutare rotta. Sulle pagine di questa rubrica ci siamo finora occupati di opere apparse negli anni ’90 e scritte da anglofoni. Stavolta facciamo un passo indietro nel tempo e raggiungiamo l’inizio del decennio precedente. Ci spostiamo anche nello spazio e rientriamo nei confini del Bel Paese per focalizzare la nostra attenzione su un interessante romanzo: L’Assedio di Luigi Menghini. Nato in provincia di Mantova nel 1946 ma torinese d’adozione, questo autore è stato attivo tra la seconda metà degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’90. Nell’arco di una quindicina d’anni ha dato alle stampe sei romanzi e una manciata di articoli e racconti. Poi di lui si sono praticamente perse le tracce.

A proposito dell’opera di cui ci occupiamo, apparsa come n° 108 della elegante collana Cosmo Argento dell’Editrice Nord, bisogna dire che pur essendo stata pubblicata nel 1981 rimane molto pervasa dallo spirito degli anni ’70. Se ne intuisce, infatti, il forte legame con gli studi di parapsicologia che in quel periodo suscitavano grande interesse, anche nell’uomo della strada, e sui quali si riversavano notevoli risorse da parte di prestigiose università. E se è vero che la fantascienza ha bisogno di uno spunto scientifico dal quale prendere le mosse, questo romanzo, il terzo dello scrittore lombardo, appare fortemente ispirato al mondo delle ricerche “psichiche” che tanto seguito hanno avuto subito dopo gli psichedelici sixties.

Per calarci meglio nello spirito dell’opera, è il caso di ricordare, sia pure a grandi linee, cosa accadeva circa quarant’anni fa.

L’interesse per il soprannaturale, già molto vivo nella seconda metà dell’Ottocento, col passare del tempo si è adeguato ad un progresso tecnologico sempre più incalzante. Per le loro dimostrazioni i medium d’epoca vittoriana si erano limitati all’uso di pendolini e tavoli dalla dubbia stabilità. Un secolo dopo i nuovi esploratori di quella dimensione dell’immaginario che definiremmo soprannaturale si affidarono a oscilloscopi, a magnetometri, persino a macchine della verità. Si cercò di dare dignità scientifica al desiderio di esplorare ciò che ben poteva definirsi metafisico. Il tutto accompagnato e supportato da un forte interesse da parte dell’uomo comune. Le Carte Zener, tanto per dirne una, da strumento utile a testare il supposto potenziale ESP (Extra Sensory Perception)dei soggetti coinvolti, si trasformarono ben presto in un diffuso gioco di società.

Di parapsicologia, riconosciuta tra le scienze nel 1969 dalla prestigiosa American Association for the Advancement of Science (AAAS), si occuparono numerose organizzazioni. Ne ricordiamo alcune tra le più note e degne di considerazione: lo Stanford Research Institute (SRI), le università della California (UCLA) e di Princeton con il suo Princeton Engineering Anomalies Research (PEAR). Nel corso degli anni ’70 il loro operato tenne ben desto l’interesse del grande pubblico.

Nel decennio successivo la situazione cambiò drasticamente: l’esito inconcludente degli esperimenti e una ferrea applicazione del metodo scientifico al loro svolgimento allontanarono dalla parapsicologia un pubblico che dall’iniziale interesse passò ad una sostanziale indifferenza. Gli enti finanziatori si fecero cauti se non addirittura scettici e conseguentemente i fondi disponibili divennero sempre più modesti.

Ma ancora nella prima metà degli anni ’80 qualcosa del vecchio entusiasmo era ancora desto come dimostra il successo nel 1984 di un blockbuster cinematografico come “Ghostbusters”.

Da questo clima, molto probabilmente, sono scaturite le suggestioni da cui prende le mosse la trama di L’Assedio, apparso in un 1981 che non si era ancora liberato del tutto dei pantaloni a zampa d’elefante e dalle lunghe chiome tanto care alla cultura Hippy.

Ma andiamo alla storia. Il professor Stephan Hoodlige, stimato psicanalista inglese, si divide tra la libera professione, l’insegnamento universitario e la cura agli alienati assistiti presso un Istituto Centrale per le Malattie Mentali. Conduce esperimenti su studenti volontari con uno strumento di nuova concezione che ha ideato a scopi terapeutici: la Sonda Mentale. Si aspetta di poter penetrare meglio nella psiche dei soggetti trattati, ma nel corso dei test si verifica un fenomeno del tutto inatteso: chi si sottopone all’influsso della macchina finisce puntualmente per riferire episodi dell’assedio di Troia. Sorprendentemente, anche chi è digiuno di Storia e Archeologia fornisce informazioni dettagliate e descrizioni vivide. Lo scienziato è costretto a fare buon viso a cattivo gioco, non essendo in grado di cambiare lo scenario a cui riconducono puntualmente gli esperimenti e che vede protagonisti tanto gli eroi omerici, come Ettore, quanto personaggi di secondo piano, come servitori e soldati semplici.

Qualcosa trapela all’esterno del paludato ambito accademico, i mass media si impadroniscono della notizia e la Guerra di Troia si trasforma nella moda del momento.

L’irrequieto Hoodlige, desideroso di dare una svolta a una carriera e a una vita personale stagnanti, affida incautamente la gestione della propria immagine pubblica a uno scaltro giornalista privo di scrupoli, Ben Carpi. Questi convince il professore a continuare gli esperimenti inserendo sempre nuovi elementi, così da tener desto l’interesse del pubblico. In tal modo, attraverso l’incredibile legame psichico che si instaura tra i volontari partecipanti ai test e gli uomini del XIII secolo avanti Cristo, si cominciano addirittura a cambiare le modalità dell’assedio. Ai contendenti vengono suggerite tattiche e tecnologie anacronistiche, in netto anticipo sui tempi. Sotto le mura di Troia fanno la loro comparsa trincee ed esplosivi. Si verificano, inoltre, strani fenomeni comprendenti sporadici trasferimenti di cose e persone attraverso il tempo e lo spazio. Nel frattempo, l’inattesa popolarità aiuta il professore ad aggiudicarsi un prestigioso premio scientifico, ma i suoi guai sono appena iniziati. Bande di giovinastri, sull’onda del tifo per i due partiti dei “Troiani” e degli “Achei”, danno vita a disordini e scatenano sanguinose risse. Durante una di queste viene gravemente menomato il figlio di Hoodlige. Quest’ultimo, di fronte al precipitare degli eventi, vorrebbe fermare gli esperimenti e porre un freno alla follia collettiva.

Ma ormai è troppo tardi, la situazione degenera in modo incontrollato e la vicenda scivola ineluttabilmente verso la catarsi finale.

Mi fermo qui per non togliere il piacere a chi, solleticato da questo articolo, volesse riprendere dallo scaffale o leggere per la prima volta questo romanzo che agli occhi del lettore di oggi può apparire un po’ datato, ma che a distanza di tanti anni mantiene inalterato un certo fascino.

Cominciamo col dire che l’idea è abbastanza originale, cosa che nella fantascienza era già difficile negli anni ’80. Questo perché l’impiego della mente, sia pur potenziata da una avveniristica tecnologica, per creare un ponte tra le epoche era, allora come oggi, un espediente poco sfruttato.

La vicenda si sviluppa senza intoppi con una quasi perfetta simmetria nell’alternanza delle scene ambientate nella tarda Età del Bronzo e quelle “moderne”. La lettura è assai scorrevole e il romanzo si legge con piacere. Nonostante il finale piuttosto cruento, l’opera fornisce spunti di riflessione senza mai diventare greve.

Due dei numerosi personaggi, anche se tutti sono assai ben costruiti, meritano una menzione particolare.

Il protagonista, naturalmente, il professor Stephan Hoodlige. Un uomo tutt’altro che cattivo, ma irrequieto e insoddisfatto sia in campo sentimentale che professionale. Le sue umanissime debolezze sono quelle dei più, ma nel suo caso particolare ne fanno il primo motore di una escalation incontrollabile. In questo si può intravedere l’invito, tipico della fantascienza e decisamente esplicito, che l’autore rivolge ai lettori: la tecnologia fornisce un grande potere a chi ne dispone; se usata con leggerezza può diventare un’arma a doppio taglio e portare a nefaste conseguenze. In pratica, un ulteriore ricorso al Mito di Frankenstein tanto caro alla Science Fiction.

Ettore, dal canto suo, è esattamente quello omerico, quello che conosciamo e ci aspettiamo: fin troppo consapevole della situazione in cui lo sconsiderato fratello ha cacciato Troia, rimane coraggiosamente al suo posto, fedele ai suoi doveri di principe, anche quando indovina l’ineluttabilità della disfatta e della propria morte.

In un certo senso, lo scienziato e il campione dei troiani sono accomunati nell’infelice destino dei predestinati alla sconfitta.

Il romanzo, in effetti, sin dalle prime pagine, è attraversato da un impalpabile senso di incombente sciagura, e non solo per quanto riguarda la parte ambientata nella Piana di Ilio, ma cattura subito e avvince il lettore fino alla conclusione.

Sicuramente si discosta dalle tematiche cui sono abituati i lettori tanto giovani da non aver vissuto il clima intellettuale degli anni ’70, quando anche il grosso pubblico sembrava irresistibilmente attratto dall’ignoto, ma merita una attenta e rispettosa lettura.

L’Assedio è un buon esempio di fantascienza alternativa a quella imperniata sull’impiego della sola macchina, strumento prediletto nell’immaginario collettivo di oggi per la scoperta del mondo e l’esplorazione di nuove frontiere. Ma in questo caso non è la mente, da sola, ad aprire nuovi orizzonti e a disvelare scenari inattesi.

Qui è la combinazione di mente e macchina a concretizzare il sogno del viaggio straordinario, lo strumento per svelare ciò che si cela dietro l’angolo. Azzardando un accostamento un po’ ardito, in quest’opera si potrebbe intravedere una di quelle espressioni ante litteram del cyberpunk. Ma trarre ulteriori spunti da una simile considerazione rischierebbe di portarci troppo lontano. Per il momento, limitiamoci a una gradevole lettura e a una interessante riscoperta. Non è poco.