Ha compiuto Quarant'anni quest'anno Musica Ribelle,  la canzone che ha fatto conoscere Eugenio Finardi al grande pubblico italiano facendone una delle icone della stagione creativa delle “radio libere”. Il cantautore, però, non ha dato voce solo a questa realtà; per molti versi è uno dei principali protagonisti del debutto della fantascienza nella musica leggera italiana.

Qualche tempo fa, il Corriere della Fantascienza pubblicava un approfondimento dal titolo ambizioso sulla musica con tematica ed ispirazione fantascientifica. Nella disamina venivano elencati venti casi di musica internazionale; non citate le esperienze italiane, capaci di offrire delle piccole perle anche per riflettere su cosa offre e ci dona il genere che più di altri parla di altrove e altroquando.

Una di queste gemme nostrane è una celebre canzone che ha segnato gli anni Settanta: Extraterrestre di Eugenio Finardi. La canzone è una delle più conosciute di Blitz, album del 1978 pubblicato dai tipi di Cramps, e più in generale del cantautore milanese, anticipata insieme a Cuba in singolo nel dicembre 1977. Racconta dell’esperienza del professionista, persona introversa che ogni notte guardava il cielo provando di comunicare con un alieno, pregandolo di portarlo via dal suo mondo, in una nuova realtà ove “poter ricominciare”. La canzone vede esaudito il desiderio ed il protagonista affrontare la nuova realtà, anche dopo passata l’euforia.

In un contesto storico in cui la fantascienza era prepotentemente entrata nell’immaginario rock grazie all’esplosione del progressive rock e del nascente metal, Finardi riattualizza in chiave rock l’immaginario dell’abbaino, della soffitta, e del rimpianto che aveva già scaldato l’immaginario italiano della musica leggera italiana negli anni Sessanta grazie a Paoli e alla sua gatta con una macchia sul muso. Lo fa in punta di penna, un po’ sornione, facendo sua una delle domande fondative della fantascienza, quel “what if?” che apre alle possibilità e soprattutto mette a nudo l’Uomo. Infatti, il protagonista della canzone dopo tanto sperarlo si ritrova teletrasportato in un nuovo mondo felice. Egli, però, non diventa un nuovo John Carter, di Burroughsiana memoria, bensì si svela persona vicina, antieroe che si trova obbligato ad affrontare quelle paure, quelle ansie, quelle fragilità e senso di inadeguatezza che lo fanno sembrare così tanto umano e vero.

La canzone di Finardi ci presenta in musica un fondamentale aspetto della fantascienza: non tanto l’epos della space opera, od il gusto dell’apocalissi, quanto quella dimensione di disvelamento di umanità che si manifesta nel pensare, immaginare e raccontare l’Uomo posto ai limiti di sé stesso, in una situazione limite in cui deve per forza esprimere e fare i conti con la parte di sé più profonda, a volte sinistra, a volte tenera, spesse volte complessa e complessata. Se, quindi, la fantascienza è il genere che ci racconta ancor meglio di altri dell’umanità, la canzone di Finardi ci offre proprio un esempio di ciò in quel suo chiudersi con la preghiera fatta guardando un cielo diverso, lontano da quello di casa.

Per questo va ricordata tra le tante perle che compongono la lunga collana che unisce il genere letterario con la musica.