Infinite, pensa Kierkegaard, tenendosi per sé la risposta. Non c’è bisogno che la pronunci.– Chi ha il diritto di dire quale sia la possibilità più degna di considerazione, l’unica con il diritto di trasformarsi in necessità?Un tremito comincia a scuotere le mani di Kierkegaard. Mette via il diario e fatica non poco a ripulire la penna in un fazzoletto e a sigillare il calamaio tascabile. Ripone tutto in una tasca del cappotto e poi balbetta: – Ho bisogno di fare quattro passi.

– Il dubbio ti attanaglia, ti capisco – replica l’altro se stesso, in tono comprensivo. – Vedo che cominci a comprendere le implicazioni della verità.

Si dirigono verso la Sprea. Il fiume scorre lento e mesto sotto i ponti berlinesi nel grigio crepuscolo autunnale.

Passeggiano l’uno di fianco all’altro e Kierkegaard è sollevato dalla constatazione che la strada è deserta, mentre lentamente la città scivola nella sera.

L’angoscia, che finora ha dominato il suo stato d’animo, è mutata in qualcosa di nuovo, un sentimento che non scaturisce più dal mondo fuori da lui, ma sorge, si rivolge e si compie nella sua stessa dimensione interiore. Non riesce ancora bene a definirla, ma è una condizione soffocante, opprimente, che non può ignorare.

– I tempi sono ancora prematuri, ma prima di quanto si possa credere avremo la prova scientifica della possibilità di nuovi stati di esistenza, la dimostrazione che esistono infiniti universi e, quindi, infinite varianti di noi stessi. La meccanica dei quanta schiuderà interi nuovi orizzonti davanti ai nostri occhi. Allora comprenderemo come ognuno di noi non sia diverso da una delle mille sfaccettature di un diamante, parti di un tutt’uno superiore.

Il vento spazza la superficie del fiume mentre dal cielo riprendono a cadere grossi fiocchi di neve.

– Io e te siamo solo due degli innumerevoli minuscoli occhi di un insetto – prosegue l’altro Kierkegaard. – Il nostro vero io necessita di ognuno di noi e di ciascuna delle nostre altre possibili varianti per comporre una visione globale del mondo. Ma ognuno di noi è fondamentale per il contributo che è capace di apportare. Ed è per questo che io sono qua.

Kierkegaard si ferma d’istinto. Attende con un fremito d’ansia di conoscere la verità dell’altro se stesso.

– Ti ho scelto tra mille altri noi stessi a te simili. Avrei potuto rivolgermi a una qualunque tra le varianti idonee allo scopo, ma la scelta è ricaduta su di te in virtù della tua superiore stabilità. I dati in mio possesso mi offrivano una sufficiente garanzia di successo solo nel caso avessi scelto l’individuo più adatto: nessuno degli altri avrebbe potuto reggere il peso della rivelazione. Prima di te, altri sette tentativi si sono risolti nel suicidio di altrettante versioni di noi stessi, capisci?