Gregory Benford, nato il 30 gennaio 1941 a Mobile, Alabama, fisico di professione, per buona parte della sua vita ha insegnato presso l'University Of California (Irvine); per conto della prestigiosa Enciclopedia Britannica ha redatto molte voci relative alla fisica. Quanti amano la SF ricordano il suo nome soprattutto per il mirabile romanzo Timescape del 1980 vincitore del premio Nebula.

Gregory Benford ha ammesso senza reticenze che non è mai riuscito a leggere tutta l'opera di Isaac Asimov; Benford, pur essendo un fisico, non ama la fantascienza 'tecnica' sullo stile di Asimov o di Clarke, e non manca di stupirsi come il pubblico riesca a leggere fantascienza basata esclusivamente su aspetti tecnici (o pseudo-tecnici). Benford è un poeta della SF, il suo stile narrativo lirico ricorda un moderno Jack London o il più classico Melville. E' raro che uno scrittore di SF sia anche un poeta, anzi, il più delle volte è impossibile coniugare la poesia con le tematiche fantascientifiche, ma Gregory Benford in questi anni di onorata attività letteraria ha dato prova di non essere semplicemente uno scrittore di SF per un pubblico abituato a comprare romanzi al supermarket: i suoi libri sono profondamente lirici e londoniani tanto che è difficile considerarlo solo uno scrittore di SF; i suoi romanzi sono quanto di meglio la SF americana abbia prodotto in questi ultimi decenni. Benford non ha nulla in comune con William Gibson o I. M. Banks che, temo, non sappiano neanche che cosa sia la poesia e lo stile... ma è solo una opinione, magari qualcuno crede che Gibson sia un grande poeta... Forse Gibson è oggi autore più rinomato rispetto a Benford, ma se un nome nella storia della SF americana dovrà restare, alla fine la critica dovrà riconoscere a Benford un posto d'onore.

Un oscuro infinito (Against Infinity) è uscito in America negli anni Ottanta: il romanzo racconta la storia di un ragazzo impegnato nella ricerca dell'Aleph, un oscuro artefatto 'alieno' che sul suolo di Ganimede si sposta, muta forma, incontra macchine e uomini a volte con semplice spirito curioso, altre con intento omicida; l'Aleph, la scoperta del mistero che si cela al suo interno, spiegherà agli uomini la loro umanità dimenticata, la loro dimensione più umana, fragile, istintiva, ma svelerà loro anche come questa umanità 'riesumata' sia in realtà una maschera, una ipocrisia: l'uomo considerato sotto un aspetto antropologico è votato alla paura dell'Infinito, l'uomo si interroga su se stesso, inventa risposte teologiche e filosofiche e scientifiche, ma dietro tutto questo rimane la paura, le risposte che l'uomo inventa non sono mai pienamente esperibili, eppure proprio queste risposte 'inventate' sono, forse, la base dei sentimenti umani, dello spirito.

Un oscuro infinito è una metafora sulla vita e il mistero che la circonda: l'autore non fornisce risposte sicure, se ne guarda bene, e quando spiega un mistero della vita lo fa con precisione poetica, una precisione astratta così come deve essere la vera liricità filosofica. Questo romanzo benfordiano è un classico della SF che non può assolutamente mancare sugli scaffali della propria personale libreria, un romanzo che ci si augura venga letto e apprezzato dal maggior numero di persone possibile, da un pubblico che non deve essere necessariamente fanatico di fantascienza, insomma un libro adatto a chi ama veramente la letteratura e non si impegna in oziose quanto inutili classificazioni di genere.