— E va bene. Qualcuno, di nuovo, si alzò. Le guardie si allontanarono e lo la sciarono piegato in due sul pavimento. Poco per volta si tirò su. Gli misero una mano sulla spalla.— Non serve a niente resistere. Ma imparerà. — Gli scompigliarono i capelli e risero. — Si rivesta. In fretta.Gli gettarono addosso i vestiti. Sentiva ancora un conato premergli contro la gola, ed era disperato di farsi vedere completamente distrutto e lo ricacciò indietro.
— Portatelo nella cella.
Le guardie lo sospinsero gentilmente verso l’uscita. Due buoni figli di puttana, pensò.
— Gli altri? — Chiese prima di essere portato fuori. — Cosa gli avete fatto? —
— Non si preoccupi. Ci pensiamo noi.
La cella era una stanzetta minuscola, due metri per quattro, due e mezzo d’altezza. C’era dentro solo una brandina di legno, e le coperte erano un paio di panni vecchi pieni di buchi, e c’era solo un finestrino tutto inferriate che lasciava i muri nell’oscurità.
Lo fecero entrare molto delicatamente, e poi se ne andarono e chiusero i catenacci dall’esterno. Sentì svanire il rumore dei loro passi, poi si trovò solo. Aveva ancora un freddo cane e una voglia tremenda di vomitare, ma gli avevano insegnato a non pensare a quello, e così si distese sulla brandina. Intrecciò le mani dietro la testa e cercò di rilassarsi. Ma non sapeva a cosa pensare.
I ricordi che gli venivano in mente erano tutti brutti; e quelli belli si offuscavano e diventavano lontani ed incredibili, perché c’era una grande nuvola nera che gli stava rodendo il cervello. Anche Marta diventava un incubo.
Avrò tempo per riflettere, si disse, e cercò di sorridere. Tempo di chiedermi perché diavolo sono venuto a finire qui, e cosa significa questo avvenimento, e da che parte sta la verità. Ma era molto stanco e dopo una mezz’oretta s’era messo a piangere e aveva vomitato in un angolo, poi s’era addormentato.
Lo svegliò il rumore dei catenacci che venivano aperti. La porta della cella si spalancò ed entrò una guardia, un vecchietto con la barba mal rasata, Lui si rizzò sul letto e restò a guardarlo, ancora intontito dal sonno. Si era accorto solo della scomparsa del freddo; un caldo febbrile gli stava entrando in tutto il corpo.
La guardia depose a terra la ciotola che reggeva in una mano.
— Come ti chiami? — gli chiese.
— Italiano anche tu, — rispose. — Una bella manica di traditori.
— Come ti chiami?
— Giovanni: E tu?
— Carlo.
Il vecchietto gli si avvicinò e gli posò una mano sulla fronte. — Hai la febbre — disse poi. — Succede sempre.
— Mi cureranno?
— No.
Indicò la ciotola. — Cos’è quella roba?
— La cena. Ti conviene mangiarla, anche se non è molto buona.
— È avvelenata?
— Non sono mica scemi.
— Rispettano le convenzioni, eh?
Si fermò un attimo. Stava davvero male.
— Senti — gli disse — devo andare al gabinetto. Mi ci porti?
— Non ce n’è. Devi fare tutto qui.
Madonna che schifo, pensò E poi non possono farlo.
— Non possono farlo — disse.
— Ti ci abituerai. Dopo un po’ diventano quasi contenti di non doversi muovere dalla cella.
5 commenti
Aggiungi un commentoSebbene ammiri l'ottima prosa di Curtoni, devo ammettere che, narrativamente parlando, questo racconto non è un gran che. Ma, soprattutto, dirà poco a un lettore che lo affronti oggi per la prima volta e che abbia meno di quarant'anni.
Provo io a dare qualche informazione: ma tenete presente che allora ero un liceale, poco esperto di politica.
Fa parte di una vecchia antologia di racconti fantapolitici, apparsa "illo tempore" su Galassia, e va contestualizzato pensando alla situazione degli anni Settanta. Qui, Curtoni ipotizza che l'Italia venga invasa dagli Stati Uniti, dopo un colpo di stato simile a quello dei colonnelli in Grecia (in effetti, pare che siamo andati molto vicini...). In un altro racconto dell'antologia "C'era l'Italia e c'erano gli eroi", Gianni Montanari ipotizzava addirittura una repressione del terrorismo "rosso" (preconizzando l'avvento delle Brigate Rosse) mentre Riccardo Leveghi, in "la Fenice", auspicava, con toni apocalittici, una rivolta che riportava al potere le idee del fascismo.
I compilatori dell'antologia erano Curtoni e Montanari da un lato e De Turris e Fusco dall'altro. Essendo schierati politicamente, su fronti estremi ed opposti, nonostante i loro buoni propositi di compilare un'antologia che fosse rappresentativa dei maggiori autori di allora e che contenesse un ampio ventaglio d'opinioni liberamente espresse, i curatori finirono per litigare. Credo che per un po' non si siano rivolti nemmeno la parola.
Il pezzo ha oggi soprattutto un valore archeologico, di testimonianza di un'epoca in cui anche il "personale" era politico (e la fantascienza non non poteva restare fuori)
Il titolo richiama Delany (Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose) o Ballard (L'assassinio di John Fitzgerald Kennedy visto come una gara automobilistica in discesa).
S*
Avendo più di 50anni, leggendolo ora l'ho trovato ovviamente un po' demodè.
Ma istintivamente ho l'impressione che non mi avrebbe particoalrmente colpito neppure da giovane.
p.s.
Ho visto che c'è una scala di valutazione. Mi pare troppo sbilanciata sul favorevole ... di negativo un unico e ranchant "mediocre" (cavoli è impegnativo spingersi a tanto), poi si passa all'apprezzamento: discreto, buono, ottimo, capolavoro
È la scala standard, usata da tutti i giornali.
Discreto non è considerato apprezzamento.
S*
cassato perché OT.
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