2008 - 28 gennaio, ore 6,45 - Sveglia. Fuori è ancora buio ma io posso egualmente vedere le prime immagini tv del mattino sulle mie lenti a contatto interattive, un vero minischermo morbido applicato sulle mie cornee. Lo aziono col solo pensiero, tramite microcollegamenti neurali. Ok, l’immagine è perfetta.

Ore 7, 00 - Mi alzo ed entro in bagno. La servodoccia mi fa levitare orizzontalmente, sospeso un metro per aria, e mi inonda sistematicamente con getti d'acqua calibrati quanto a forza e temperatura.

Ore 7,20 - Indosso i miei vestiti intelligenti, con sensori elettronici integrati nella

struttura molecolare. In casa restano a temperatura ambiente; fuori diventano più o meno lisci o porosi, si riscaldano o raffreddano, fino al punto ottimale. Se mi sento un po’ sottotono mi sparano in vena un goccino di ricostituente.

Ore 7,45 - Chiamo Rocky, la mia electric sheep. È un animale robot che mi conosce, e ai miei ordini vocali gestisce il computer domestico. Vedo Rocky giocherellare, mi guarda e scodinzola, è un servocane affettuosissimo. Ed è del tutto autosufficiente.

Ore 8,00 - Esco e vado in auto. Ha dispositivi radar anticollisione, ricognizione del traffico, scelta dei percorsi automatici ottimali.

Ore 9,00 - Telefono all'Istituto di genetica per avere notizie di mia figlia. Elena nascerà fra tre mesi; mia moglie Nicla è ancora fuori città. Elena si è formata in un utero sintetico, sta bene e “risponde” amabilmente alle leggere sollecitazioni del personale specializzato, secondo le nuove concezioni del rapporto col feto (si potrebbe dire che Elena dialoghi).

Ore 9,30 - Eccomi sul cantiere. Sono architetto, e molti miei colleghi non hanno mai visto dal vivo le loro creazioni computerizzate. Invece a me piace, ogni tanto, venire a osservare con i miei occhi il risultato del mio ingegno.

Che volete, sono un tipo all’antica, io.