E se a perdere la memoria non fosse soltanto un unico individuo ma un’intera galassia? Questa sembra essere la premessa da cui prende le mosse l’ultimo romanzo di Olintus Stern, uno pseudonimo dietro il quale si cela l’identità di uno scrittore milanese, autore del romanzo Le Lune di Shangra, edito per i tipi della Keltia Editrice nella collana “I Calicanti d’Oro”.
Il protagonista del romanzo, il comandante Argon, si risveglia su un’astronave senza avere più nessuna memoria di sé, né della sua vita precedente e così comincia una ricerca della propria identità sul pianeta Dyaconia dove, contattato dall’agente Zero, riceve alcuni preziosi indizi circa la sua attuale condizione e la nobile estrazione sociale della famiglia cui appartiene.
La galassia sta vivendo un periodo di turbolenza politica, con diverse fazioni che si fronteggiando per la supremazia, in questo contesto si vanno a inserire le movimentate vicende che vedono coinvolti il Principe Mahmud e la ribellione che, attraverso alleanze clandestine, ambisce a detronizzarlo.
Quando Argon, scampato a un tentativo di omicidio, riuscirà a tornare sul suo pianeta di origine, scoprirà finalmente a quale importante progetto stava lavorando prima dell’amnesia e anche perché la sua memoria è stata cancellata.
Da qui in poi, si entra in una fase espansiva del romanzo, che si va allargando oltre che nello spazio anche nei suoi significati.
Senza svelare troppo della trama, vi basti sapere che, attorno alle sorti di Argon, s’innescheranno una serie di eventi, di inseguimenti spaziali, complotti politici e rivelazioni familiari che ci porteranno fino sulle misteriose “Lune di Shangra” dove un particolare allineamento stellare, una coincidenza astrale che si ripete soltanto ogni duecento anni, rimanda a una conoscenza scomparsa, un’antica tecnologia il cui funzionamento è andato perduto nel corso dei millenni insieme alla civiltà che l’ha prodotta.
Questo infatti pare essere il tema principale del romanzo, e cioè quello dell’eterno ritorno, del cerchio che si apre con la perdita della memoria (quella individuale rimanda neppure troppo metaforicamente a quella collettiva) e si conclude con il suo faticoso ripristino.
In mezzo, il romanzo concede ampio spazio all’avventura nel segno più spiccato della tradizione fantascientifica e quindi numerose sono le vicende legate alla ribellione che supporta la Ricerca di Argon e tenta strenuamente di sovvertire l’esito di una guerra che all’inizio si preannunciava come già segnata dalla sconfitta.
Le numerose linee narrative presenti ne “Le Lune di Shangra” sono ben congegnate, s’intrecciano in vari punti e scorrono in maniera fluida, anche grazie a un linguaggio, spesso colloquiale (soprattutto nei dialoghi), che di rado diventa forbito e anzi a tratti si sviluppa in modo apertamente umoristico, quasi scherzoso. Tornano alle mente i padri fondatori della Space Opera, su tutti Van Vogt per le derive siderali e Asimov per l’accento posto sulla politica e la diplomazia galattica, autori a cui Olintus Stern pare strizzare l’occhio a più riprese.
Venendo agli aspetti meno riusciti del romanzo, va detto che la galassia è forgiata sullo stampo dell’Impero Romano, e questo forse può essere visto come un punto debole perché, se da un lato fa sì che si respiri un’aria sin troppo conosciuta, (per gli appassionati del genere può essere tuttavia molto confortevole muoversi tra antichi saluti romani, legionari e nomi che risuonano di una certa latinità latente) dall’altro tuttavia, può risultare poco innovativo.
Il secondo elemento su cui l’autore non si sofferma troppo è lo spessore dei personaggi i quali, durante il corso del romanzo, restano un po’ troppo monocorde. La dicotomia buoni/cattivi è piuttosto lampante e sebbene ci siano sicuramente dei tradimenti e qualche svolta “familiare” ben inserita nel tessuto della narrazione, si potevano rendere meglio alcuni dei tratti dei protagonisti, i quali danno l’impressione di essere mossi più da eventi esterni (vedi, le intrinseche esigenze narrative per smuovere la trama) che non da veri e propri motori interni (vedi, volontà dell’attore-agente di perseguire i proprio obiettivi). Ma non c’è troppo da stare a cavillare, laddove il romanzo si pone come fine ultimo quello di accompagnare il lettore in un viaggio di scoperta attraverso una galassia turbolenta e non nella psicologia di coloro che la compongono.
Infatti il protagonista Argon (nelle cui riflessioni l’autore pare spesso rispecchiarsi) è certamente un eroe riuscito. Costretto a rincorrere se stesso e la sua identità, abilmente rimossa da chi ostacola il compimento della sua Ricerca, dovrà superare numerose prove (aiutato via via da amici e vecchi saggi) per tornare a essere se stesso e forse qualche cosa di più. La parabola di Argon traccia quindi un arco teso verso il basso, in cui però i due apici (l’inizio e la fine) non stanno più sullo stesso piano, una volta che il segreto della Galassia è stato svelato e condiviso con tutti.
Il successo della missione di Argon (la fabbricazione dell’oxidio e il suo dono alla popolazione) ci porterà quindi dritti al capitolo finale, intitolato “Ma la memoria insegna?” dove l’autore ci lascia con questa domanda alla quale, velatamente, sembra rispondere in maniera affermativa nel momento stesso in cui il mitico occhio di Osedon (simbolo dell’antico culto andato perduto) tornerà a illuminare l’universo conosciuto.
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