La storia si sovrappone e prosegue lungo la traccia del precedente, ma in fondo, in Project Origin come nel vecchio Fear, l'elemento squisitamente narrativo rimane sempre un po' fuori fuoco. Con una mossa interessante, la nuova avventura inizia giusto in tempo per permettere di osservare in diretta le battute conclusive del primo capitolo da una diversa prospettiva, quella di un soldato della Delta Force inviato con la sua squadra a prelevare la presidentessa dell'Armacham Technology Corporation, i cui esperimenti ai confini della scienza ufficiale minano la sicurezza del Paese.

Purtroppo l'apocalisse è già cominciata e ha le fattezze di Alma, un'inquietante bambina dagli incredibili poteri psichici presa palesemente in prestito da Ring e deus ex machina del lento, ma inesorabile disfacimento della realtà, in favore di un mondo da incubo. Correre al di là di un finale aperto servirà tuttavia solo a capitombolare dentro un ulteriore cliffhanger che ha ben poco di risolutivo.

In effetti il racconto di Fear 2: Project Origin è soprattutto una girandola di azione avvolta in un'atmosfera horror da blockbuster hollywoodiano. Dietro all'allucinata messinscena c'è Monolith, che insieme a Traveller's Tale e Snowblind Studios oggi costituisce la spina dorsale della divisione videogame della major Warner Bros. Si tratta della stessa software house che ha dato i natali a Blood e No One Lives Forever, a Shogo, Tron 2.0, Aliens vs Predator 2 e, allargando il campo, al più recente Condemned. Tutti titoli legati visceralmente al discorso della soggettiva, visuale esplorata con metodo anche in Fear 2.

La telecamera sfuma, scatta, barcolla, senza allontanarsi mai dagli occhi del protagonista, che ci sia da mirare con il fucile, tirare un calcio volante, ribaltare un tavolo per approntare un riparo di fortuna oppure si abbia a che fare con la fruizione più o meno passiva di eventi a forte impatto scenico, mentre le informazioni su missione, equipaggiamento e salute vengono rappresentate tramite espedienti grafici e riassunte sul visore degli occhiali high-tech indossati dal personaggio, altro escamotage per non intaccare il senso di immedesimazione.

Come però molti blockbuster anche Fear 2 scivola via veloce, freddo, lineare, solido e formalmente corretto ma per certi versi inconcludente, scricchiolando non tanto sotto il peso di ipotetiche colpe quanto forse per i limiti di una produzione nella media che si scontra necessariamente con una scena dominata da giganti. Nonostante i buoni spunti - dall'estrema dinamicità delle sparatorie rallentabili come in Matrix alla varietà delle ambientazioni (classici particolarmente riusciti, come la scuola elementare e la città in rovina, risposte efficaci alle critiche ricevute per la monotonia del primo Fear), al fatto che il gioco abbia i suoi momenti, uno su tutti l'ariosa sezione mech che omaggia Shogo - l'ultima creatura di Monolith è ancora a caccia di un'identità ben definita che non sia James Woo incontra Ring sullo sfondo di una catastrofe fantascientifica.