Il viaggio nel tempo permette di incontrare personaggi vissuti in altre epoche, ma cosa succederebbe se si prendessero una miriade di persone provenienti da periodi storici differenti e le si mettesse insieme?

Una risposta a questo quesito provano a darla Arthur C. Clarke e Stephen Baxter, che con L'occhio del tempo iniziano una trilogia dove l'odissea si trasferisce dallo spazio al tempo.

L'idea di base del romanzo è grandiosa, qualcuno ha tagliato a pezzi la Terra, anzi le Terre di differenti epoche a partire da due milioni di anni nel passato, e ha assemblato in un singolo istante un nuovo pianeta.

I pezzi di questo gigantesco mosaico non combaciano perfettamente, e ciascun pezzo contiene umani, ominidi e animali di epoche differenti, un miscuglio dal quale non possono che nascere guai.

Su tutto vegliano, impassibili, gli Occhi, le misteriose sfere fluttuanti, probabilmente responsabili dell'accaduto, manufatti provenienti da una dimensione dove le costanti del nostro universo non hanno valore.

Sul nuovo pianeta, che sarà chiamato Mir, tre soldati delle Nazioni Unite, provenienti dal 2037, si trovano a contatto con un contingente dell'esercito imperiale inglese e due femmine protoumane, in un Afghanistan improvvisamente spopolato.

Anche tre astronauti in orbita, due russi e una americana, si ritrovano improvvisamente tagliati fuori da ogni contatto radio, e sono costretti a un rientro senza nessun appoggio da terra.

Ambedue i gruppi entrano in contatto con due grandissimi condottieri, gli inglesi incontrano Alessandro Magno, impegnato nella sua marcia verso est, mentre gli astronauti cadono nelle mani di Genghis Khan e dell'esercito mongolo.

Venuti a sapere che da quella che sembra essere la città di Babilonia arriva uno strano segnale, e convinti dai nostri contemporanei, i due imperatori decidono di muovere i loro eserciti e conquistare l'antica Mesopotamia, il che provocherà una battaglia decisamente improbabile, la falange macedone contro la cavalleria mongola.

Non mi facevo eccessive illusioni prima di iniziare la lettura di questo romanzo a quattro mani, e tutto sommato ritengo che la mia diffidenza fosse giustificata, la storia è abbastanza ben scritta, e lo stile di buon livello, ma i personaggi mancano di spessore, con la possibile eccezione della protagonista, Bisesa Dutt, eroica e intelligente peacekeeper ONU, che costituisce il trait d'union tra i romanzi del ciclo.

A tratti la lettura diventa pesante per le informazioni storiche o scientifiche, spesso ininfluenti per la storia, e a volte i personaggi si comportano in maniera illogica, come Sable Jones, l'astronauta americana protagonista di una classica scena alla "sono il cattivo, ti ho in pugno e perdo tempo a chiacchierare, così puoi prendermi di sorpresa".

Di tutto lo sconvolgimento causato dall'improvviso formarsi di un pianeta non resta che qualche difficoltà per le piogge o i cattivi raccolti, questo tema avrebbe meritato un trattamento più esteso, invece tutto il romanzo converge verso lo scontro tra i due eserciti.

E proprio la battaglia finale è la parte più interessante, lo scontro tra la miglior fanteria e la miglior cavalleria della storia è narrato davvero bene, con un risultato imprevedibile.

Il romanzo soffre anche la mancanza di un vero e proprio finale, essendo la prima parte di un ciclo che, come spiegano gli autori, è ortogonale a quello di Odissea nello spazio, qualunque cosa questo significhi.

Può darsi che aver letto L'occhio del tempo subito dopo Spedizione di soccorso, la splendida antologia di Clarke, mi abbia influenzato, ma penso che da due autori di gran talento come Clarke e Baxter ci si potesse aspettare di più, invece ci si trova di fronte a un romanzo che si lascia leggere ma niente di più.