Che a David Brin vada particolarmente a genio il romanzo-fiume è un dato di fatto. Basti pensare al poderoso Terra (Earth, 1990), al massiccio Nel cuore della cometa (Heart of the comet, 1986, scritto a quattro mani con Gregory Benford), oppure al corpulento I signori di Garth (Uplift War, 1987) già terza parte della prima trilogia delle Cinque Galassie, comprendente anche il primo e più smilzo Spedizione Sundiver (Sundiver, 1980) e il secondo (di dimensioni finalmente normali!) Le maree di Kithrup (Startide Rising, 1983). Nel caso di Il pianeta proibito, però, si può ben dire che il buon Brin abbia superato se stesso, perché se tutti i suoi precedenti romanzi erano almeno autoconclusivi, questo non lo è affatto. Anzi, lascia proprio tutto quanto in sospeso, e di questo l'autore si dev'essere sentito un po' in colpa, se in calce al volume chiede scusa ai lettori promettendo di non farlo mai più! Ad ogni buon conto, poiché Il pianeta proibito (Brightness Reef, 1995), primo romanzo della seconda trilogia delle Cinque Galassie, è lungo quasi 600 pagine, è bene che il lettore sappia a cosa va incontro, come è altrettanto giusto che sappia che la Casa Editrice Nord, avendo già acquisito i diritti dell'intera nuova trilogia, terminerà molto presto la pubblicazione dell'intera opera, tanto che il secondo volume, Le rive dell'infinito (Infinity's Shore, 1996) è in uscita proprio questo mese nella collana Cosmo Oro, mentre il terzo ed ultimo volume, I confini del cielo (Heaven's Reach, 1998), sarà pubblicato il prossimo settembre.

Assodato questo, si può cominciare la lettura del romanzo, armati di una certa dose di pazienza, di costanza e di fiducia nell'autore, perché va detto che il primo centinaio di pagine stentano a carburare. L'ostacolo fondamentale è che, anche il lettore esperto dell'universo di Brin e della sua eterogenea sociologia basata sull'Elevazione delle razze, con le razze patrone, le razze clienti e le questioni in sospeso dei misteriosi Progenitori e dell'origine dei terrestri, viene catapultato su Jijo, un mondo complesso che ospita un coacervo di razze diverse (solo quelle "elevate" sono ben sei, compresi i terrestri) ognuna con caratteristiche biologiche, psichiche e sociali assai differenti. Per questo inizialmente è fin troppo facile rimanere disorientati, non solo nell'assimilare il linguaggio e i vari nomi esotici dei personaggi delle diverse razze, ma anche nel tenere dietro alle complesse vicende di ben cinque protagonisti, tre umani e due alieni, che Brin segue con scrupolosa e logorroica costanza.

Dunque, Jijo era un pianeta in quarantena dopo l'abbandono dei Buyur, la misteriosa razza che l'occupava in origine, e si trovava in attesa del ripristino dell'ecosistema prima che il governo galattico lo assegnasse nuovamente a una o più razze. Ma molte centinaia d'anni prima degli avvenimenti raccontati nel libro, sei razze in fuga giunsero sul pianeta e vi si rifugiarono illegalmente, sviluppando complessi rapporti inter-razziali e una religione che cercava nel Sentiero della Redenzione, l'affrancarsi dal senso di colpa di avere occupato un pianeta, appunto, proibito. E infatti le sacre scritture prevedevano che prima o poi sarebbero giunti dei viaggiatori dal cielo a giudicare i jijoani per il loro crimine. Manco a dirlo, è proprio con l'arrivo di un misterioso veicolo celeste che si apre il romanzo, seminando il panico tra gli abitanti del pianeta, pronti a distruggere ogni cosa. Ben presto, però, si scopre che gli occupanti del veicolo hanno sembianze molto simili a quelle umane e questo fatto, unito all'enigma su quale sia il vero scopo di questi nuovi venuti, è causa di malumori e sospetti tra le varie razze, soprattutto nei confronti dei jijoani umani. A ingarbugliare tutta la faccenda è poi la presenza di uno straniero senza memoria, proveniente da chissà dove e che si pensa possa essere una sorta di "fuggitivo" che gli stranieri stanno cercando. Ma sarà davvero così? Sono questi i due grossi enigmi che restano vivi fino alla fine del libro (e oltre!) e che il lettore, attraverso piccoli indizi sparsi qua e là, può cominciare a intuirne la soluzione, soprattutto quando capisce che ci sono di mezzo anche dei delfini... E allora la mente non può che tornare al bellissimo Le maree di Kithrup, che resta finora il romanzo migliore della saga ormai ventennale e con il quale, solo all'ultima pagina del libro si capisce l'esistenza di un legame molto più stretto di quello che potrebbe sembrare (per questo motivo consigliamo vivamente la lettura di questo romanzo almeno a valle de Le maree di Kithrup, mentre gli altri romanzi della prima trilogia, Spedizione Sundiver e I signori di Garth possono anche essere letti separatamente).

Malgrado le difficoltà di cui s'è parlato, che insieme alla lunghezza del volume non di rado rischiano di far smarrire l'attenzione e l'interesse del lettore, bisogna ammettere che alla fine l'affresco di Brin risulta poderoso e affascinante, e ci mostra un universo alieno davvero complesso e completo, con un impressionante livello di realismo e originalità, soprattutto per quanto riguarda l'ineguagliabile descrizione delle razze aliene (davvero straordinari gli alieni conici formati da tori sovrapposti che riportano alla memoria tipici i giocattoli dei bambini, o quelli che procedono su ruote, con piccoli arti per la spinta, come esseri condannati per natura a vivere su seggiole a rotelle). In tutto questo, a rimetterci è in una certa misura la trama, che proprio nella natura sostanzialmente incompiuta del romanzo, avrebbe avuto bisogno di una maggiore incisività e unitarietà, segno inequivocabile che l'autore ha deliberatamente strutturato la narrazione della sua trilogia in un unico grande romanzo di cui Il pianeta proibito non risulta altro che un voluminoso prologo per gli eventi che verranno.