“È da diciannove anni che si pensava di fare questo film: ci sono state otto diverse sceneggiature per Watchmen e quella utilizzata da Zack è stata l’ultima.” Così la produttrice e moglie del regista Deborah Snyder racconta la difficile genesi della pellicola tratta dal romanzo grafico di Alan Moore e Dave Gibbons. “Alcune di queste sceneggiature duravano appena due ore e anziché R, ovvero Restricted, vietate ai minori, erano praticamente adatte ad un pubblico di adolescenti.”

Pensavate di utilizzarle?

No, perché Zack non se l’è mai sentita. Aveva il timore di rovinare per sempre un fumetto che ha sempre adorato. Del resto tutti quanti noi eravamo così innamorati della ricchezza dei personaggi, delle loro falle, delle domande che pongono allo spettatore, che non potevamo affrontare questa produzione in maniera superficiale.

Qual era la differenza principale tra quelle sceneggiature e quella di suo marito?

Tutte quante erano ambientate nel presente. Solo quella che ha Zack ha rispettato l’ambientazione del 1985, ma ci sono anche altri dettagli. La Warner, ad un certo punto, voleva che la guerra di cui si parlava nel film fosse quella contro il terrorismo. A noi, invece, sembrava molto più forte l’ambientazione nel passato rispetto ad una che commentasse il nostro presente. Ci piaceva pensare ad un film pieno di citazioni e riferimenti alla cultura di un’epoca. Per questo abbiamo dato anche molto spazio alla voce narrante di Rorschach e alla sua voce.

Qual è la sceneggiatura che l’ha colpita di più anche se non aveva molto a che fare con Watchmen?

Sicuramente quella di Terry Gilliam. Era geniale, ma aveva a che fare con i viaggi nel tempo e si distaccava molto dal romanzo grafico. Non c’entrava molto con il libro, ma era davvero interessante.

Cosa ha detto la produzione quando ha letto la vostra versione?

Che era troppo violenta, troppo adulta e troppo lunga, perché durava più di tre ore. Ma questa è un po’ la chiave del nostro lavoro. Noi non volevamo prendere la storia di Watchmen e farci un film, ma adattare in pieno il romanzo grafico. Un approccio diverso da tante pellicole di supereroi dove il personaggio viene inserito in una storia differente. Il nostro interesse è quello di creare un cinema che sia un vero e proprio adattamento del romanzo grafico cui ci stiamo ispirando. Watchmen non è un film sui supereroi, ma qualcos’altro che parla di temi importanti e che ha per protagonisti degli eroi feriti e lacerati.

Si è parlato anche di due film…

Perché Watchmen poteva essere ancora più lungo, ma a nostro avviso non avrebbe avuto molto senso di dividerlo in due e, soprattutto, non eravamo convinti del fatto che il pubblico, alla fine del primo, avrebbe avuto voglia di aspettare per vedere un secondo capitolo. Questo, ovviamente, per la struttura del romanzo grafico che si evolve lentamente. Non ci sembrava corretto, infatti, svilupparlo in un film in tre atti. Anzi.

Come è stato il vostro rapporto con Alan Moore?

Molto difficile: mentre Frank Miller ci ha sempre sostenuto con 300 ed era costantemente vicino a noi, Alan Moore è stato, invece, sempre distante. Lui non ha piacere che vengano fatti film dai suoi lavori: qualsiasi regista, non solo Zack, non è benvenuto ad occuparsi degli adattamenti dei suoi romanzi grafici. Non vuole nemmeno essere contattato e noi abbiamo rispettato i suoi desideri. Fortunatamente, invece, Dave Gibbons ci ha dato una grande mano.