La Terra non se la passa bene e questa non è una novità. Purtroppo stiamo prendendo la pessima abitudine di considerare quasi naturali e inevitabili le prospettive pessimistiche sul futuro del nostro pianeta. Così gli allarmi che vengono periodicamente lanciati dalla comunità internazionale degli scienziati o dalle fondazioni ambientaliste corrono il rischio di sortire l'effetto opposto a quello sperato: capita per esempio che di fronte all'annuncio di nuovi dati sul monitoraggio dell'effetto serra (con il buco dell'ozono mai così vasto come in questi ultimi anni), sull'inquinamento industriale o sui progressi della desertificazione, oppure apprendendo gli ultimi rapporti sull'emergenza idrica che mette in ginocchio interi continenti, ci si limiti sempre più spesso a una scrollata di spalle.

Lo sconforto è la prima sensazione che emerge dalla lettura del Living Planet Report 2006 del WWF, diffuso in questi giorni proprio da uno dei paesi in più rapido (si legga pure selvaggio) sviluppo: la Cina. L'impatto della presenza umana sul pianeta forse sarà riassorbito sulla scala geologica come illustrato da altri recenti studi, ma di questo passo metterà in serio pericolo le capacità di autosostentamento dell'ecosistema Terra, le cui risorse si stanno degradando con un ritmo senza precedenti. Proiezioni pessimistiche delle solite cassandre? Diamo un'occhiata ai dati.

Negli ultimi quarant'anni la biodiversità terrestre si è ridotta del 31% e le risorse ittiche di mari e oceani del 27%. Tradotto in soldoni, quasi un terzo delle specie viventi di terra, mare e oceani si sono estinte dal 1970 a oggi. Non meno preoccupanti risultano i dati relativi alla cosiddetta "Impronta Ecologica", un indice ideato per quantificare la domanda in termini di consumo di risorse naturali da parte dell'umanità: il peso dell'impatto umano sulla Terra è più che triplicato nel periodo 1961-2003, portando la nostra impronta a superare del 25%, nell'anno di fine rilevazione, la capacità bioproduttiva su cui facciamo leva per il nostro sostentamento, con un incremento del 20% rispetto alla precedente rilevazione, basata su dati del 2001 resi pubblici nel rapporto del 2004. Le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera sono cresciute di nove volte dal 1961 al 2003. L'Italia, in virtù del suo alto indice di urbanizzazione e della sua conformazione geologica, mostra un deficit ecologico di 3,1 ettari pro capite: con una biocapacità pari a 1,1 ettaro globale a testa, ci permettiamo di spendere per 4,2. Ma c'è chi fa peggio di noi.

La maglia nera tocca, come c'era da aspettarsi, agli USA, che condividono la vetta della classifica dei grandi stati con la più incisiva Impronta Ecologia con la rivelazione Emirati Arabi Uniti. Seguono Finlandia, Canada, Kuwait, Australia, Estonia, Svezia, Nuova Zelanda e Norvegia. Come si vede, anche le tanto celebrate democrazie scandinave non è che facciano una figura egregia, a causa soprattutto della deforestazione e delle attività marittime. L'Italia occupa il 29simo posto, mentre la Cina si colloca a metà classifica, per l'esattezza al 69simo posto, ma la crescita economica che la caratterizza (pari al 10,2% nel 2005) la porterà presto a giocare un ruolo di primo piano nell'uso sostenibile delle risorse planetarie. E per questa ragione, con lo scopo di sensibilizzare governanti e opinione pubblica, il WWF ha scelto di lanciare il rapporto 2006 proprio da Pechino. Più che un allarme, il rapporto nasce con l'intento di lanciare un appello proprio a quei paesi di nuova industrializzazione che al di fuori della Cina raccolgono da soli un altro miliardo di uomini e i cui consumi si stanno progressivamente avvicinando a quelli dell'Occidente.

"Fare dei cambiamenti che migliorino i nostri standard di vita e riducano il nostro impatto sulla natura non sarà facile" ha detto il direttore generale di Wwf International, James Leape, "ma se non agiamo subito le conseguenze sono certe e terribili". Nel rapporto si legge che "entro il 2050 l'umanità raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità del pianeta Terra" e i calcoli sono stime per difetto. "Siamo in un debito ecologico estremamente preoccupante, considerato che i calcoli dell'impronta ecologica sono per difetto " rincalza Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia. "Consumiamo le risorse più velocemente di quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di quanto la Terra sia capace di «metabolizzare» i nostri scarti. E questo porta a conseguenze estreme ed anche molto imprevedibili. È tempo di assumere scelte radicali per quanto riguarda il mutamento dei nostri modelli di produzione e consumo. Il nostro futuro dipenderà da come impostiamo oggi la costruzione delle città, da come affrontiamo la pianificazione energetica, da come costruiamo le nostre abitazioni e da come tuteliamo e ripristiniamo la biodiversità".

Scrollare le spalle, come atto di condanna o d'impotenza, non è abbastanza. A meno di non scoprire nei prossimi quarant'anni un pianeta terrestre atto ad ospitare la vita e mettere simultaneamente a punto una tecnologia di volo spaziale tanto sviluppata da consentire la migrazione in massa della popolazione umana dalla Terra, ci conviene tenerci ben stretta questa pietra che ci diede i natali e che finora non abbiamo degnato di un briciolo di gratitudine. Un messaggio banalizzato dall'inflazione che sta subendo, ma dovrebbe essere ben chiaro a tutti che è obbligo morale di istituzioni e privati cittadini contribuire, nella dimensione che a ciascuno compete, alla preservazione dell'ambiente. Sempre che si voglia arrivare a vedere davvero l'alba di un nuovo secolo.