La vita di un autore e la sua opera non sono quasi mai slegate, specie quando la loro grandezza sopravvive al tempo e travalica la memoria del lettore, andando a imprimersi in quel più vasto serbatoio di esperienza collettiva che accomuna i membri di un’intera cultura. Uno studio condotto da John Ross del Caritas St. Elizabeth’s Medical Center di Boston, già disponibile on line e di prossima pubblicazione sul numero del primo dicembre della rivista Clinical Infectuous Diseases, confermerebbe la tesi nel caso di George Orwell. Lo scrittore inglese, autore di romanzi passati alla storia come il distopico 1984 e l’allegorico La fattoria degli animali, potrebbe essere stato influenzato nelle sue cupe visioni del futuro dai propri malanni fisici, che includevano tubercolosi e sterilità.

 

Orwell nacque in India nel 1903 col nome di Eric Blair. Malato fin dalla tenera età, soffrì per anni di attacchi multipli di bronchite e altri disturbi respiratori. Da adolescente fu infettato dalla polmonite batterica e durante il suo soggiorno in Birmania contrasse anche la febbre dengue. Il vizio del fumo contribuì probabilmente alla sua costituzione e al suo aspetto scarno ed esangue. Forse a causa proprio delle malattie respiratorie infantili, Orwell sviluppò una bronchiettasia, una condizione patologica caratterizzata dalla dilazione perpetua dei bronchi con conseguenti, ripetuti attacchi di tosse. Dopo il 1938 gli fu diagnosticata la tubercolosi, che lo portò alla morte nel 1950. Secondo John Ross, lo scrittore potrebbe essere stato infettato in gioventù nel Sud-Est asiatico, sotto le armi in Spagna (dove militò nelle armate repubblicane contro le falangi di Franco e fu corrispondente per l'Observer) oppure durante gli anni di vagabondaggio e povertà in Francia e in Inghilterra.

 

La sua cattiva salute e la sua presunta sterilità (testimoniata dalle sue lettere e da alcuni referti medici) contribuirono forse allo sconforto persistente delle sue opere, dominate da un’atmosfera tetra e opprimente. “Orwell stesso” spiega Ross, “ disse ai suoi amici che 1984 sarebbe stato meno cupo se lui non fosse stato così malato”.

 

Orwell, comunque, può riposare tranquillo. L’articolo difficilmente potrà intaccare la sua grandezza di autore, o sminuire la portata delle sue intuizioni e visioni. Più probabile, invece, che il suo nome finirà nel novero di quanti hanno vissuto indissolubilmente dalla propria opera. E chissà se il visionario artefice del Grande Fratello avesse mai immaginato, in vita, di trovarsi sulle pagine del futuro in compagnia di scrittori e artisti tormentati, come Edgar Allan Poe, Charles Baudelaire oppure Vincent Van Gogh...