Da qualche tempo, ve ne sarete accorti anche voi in quanto lettori di Fantascienza.com, si fa un gran parlare della Singolarità Tecnologica. I toni variano dal possibilismo critico più prudente all'entusiasmo estatico dei nerd (parafrasando Ken MacLeod) e contemplano quasi tutte le sfumature intermedie. Segno di quanto forte fosse l'intuizione di Vernor Vinge, che per primo ne ipotizzò l'«avvento» nel lontano 1993. Dopo 15 anni l'interesse intorno al concetto non si è affatto smorzato, ma anzi ha stimolato nuove riflessioni e nuove «versioni», potremmo quasi dire, di questo evento storico potenzialmente prossimo venturo. Nuovo impulso alla discussione è stato senz'altro fornito dall'enorme successo di pubblico e di critica riscontrato da Charles Stross, e forse è stata proprio questa persistente popolarità che ha portato all'insorgere di qualche malumore. Diversamente da quanto accaduto con le opposizioni critiche al cyberpunk, il filone postumanista dominante nell'attuale panorama del genere non ha ancora incontrato un'opposizione formale. Ma cominciano a manifestarsi i primi segni di intolleranza.

In un post sul sito Tor.com, lo scorso 22 luglio, la scrittrice gallese Jo Walton, distintasi in passato per la difesa del web writing con l'istituzione della "Giornata Mondiale del Tecnocontadino Pixellato" in risposta alla provocazione di Howard V. Hendrix (autore già vicino al cyberpunk nei primi anni '90) che aveva definito "crumiri" i colleghi attivi sulla rete, ha confessato, un po' a sorpresa, tutte le sue riserve intorno alla Singolarità. A giocare un ruolo preminente nell'insofferenza della Walton è senz'altro quel clima di attesa quasi dogmatica che è venuto a crearsi intorno al concetto, e in questa misura le sue riserve sono più che giustificate. Ma la Singolarità, proprio come quegli altri archetipi della fantascienza che possiamo vedere nei viaggi FTL o nei salti nel tempo, dimostra tuttora una grande vitalità, una capacità di aggiornarsi e di sollevare spunti di riflessione sempre nuovi intorno al nostro futuro e, soprattutto, al futuro che potrebbe attenderci se non cominciamo subito a rettificare la nostra rotta. E sembra che Jo Walton abbia voluto lasciarsi sfuggire proprio questa caratteristica nel suo commento, che si è quindi prestato a una replica da parte del grande Rudy Rucker, uno dei membri storici del Mirrorshades Group, nonché filosofo, matematico e divulgatore scientifico, uno di quei talenti eclettici che da soli possono impreziosire la storia di una certa stagione di un genere.

Nella parte conclusiva del suo post, la Walton lamenta che "un sacco di

gente sembra che adesso abbia paura di scrivere quel tipo di fantascienza che io preferisco, il tipo con gli alieni, le astronavi, i pianeti e una tecnologia superiore a quella che conosciamo ma non al punto da risultare inimmaginabile e incomprensibile". Questa conclusione presta il fianco all'affondo di Rucker, che ha preso atto del disagio di alcuni lettori (e autori) di SF con la nozione che il bagaglio tematico del genere dovrebbe cambiare nel corso degli anni. Una realtà che invece dovrebbe essere acquisita, e che per questo si tende a dare per scontato, è proprio che risulta inutile legarsi a una qualsiasi idea della SF o, peggio ancora, esigere un'attinenza fedele a certi dettami codificati nel passato. Nei mesi scorsi Rucker aveva ribadito di non essere un tesserato fedele fino in fondo all'idea della Singolarità, e anzi aveva espresso la sua diffidenza di fronte alla prospettiva di una "digitalizzazione" del nostro universo, pur dicendosi convinto che l'intelligenza diverrà ubiqua, come inscenato nel suo ultimo romanzo, Postsingular (2007) e nel suo ideale seguito attualmente in stesura, Hylozoic. La sua difesa del fronte postumanista assume quindi particolare rilievo.

A complemento delle sue note, Rucker riporta a beneficio dei lettori una lista degli argomenti e degli scenari che trova al momento più stimolanti, correlati o meno a un'idea postumanista della fantascienza, già più o meno sfruttati in passato, ma su cui accarezza il sogno di potersi prima o poi esprimere: "porte magiche" verso altri universi o altre dimensioni (come i ponti di Einstein-Rosen già apparsi in molti suoi racconti), realtà ingannevoli (con un aggiornamento "onirico" del concetto dickiano dell'universo-matrioska) e rilettura dei viaggi nel tempo in chiave mnemonica, l'aldilà visto dai morti, virus informatici quantici in grado di "risvegliare" la materia ordinaria o di riprogrammare le leggi della fisica a beneficio di qualche altra entità, nuove percezioni (per sperimentare vettori di informazione a cui oggi siamo poco o per niente sensibili: temperatura, viscosità, elettricità, bosoni di Higgs, neutrini, quark o... "fantasmi"), universo olografico, sottodimensioni (la scala di Planck come una frontiera da esplorare), quesiti filosofici classici (chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? un serbatoio inesauribile...) e, per concludere, l'esplorazione di varianti topografiche della nostra Terra (una sorta di tarlo per un matematico).

Rucker sembra voler suggerire che la fantascienza non si trovi certo a corto di spunti. Mai come ora la sua portata ha abbracciato un orizzonte concettuale variegato e complesso e questo forse giustifica la graduale disaffezione ai temi classici del genere. E non è questo un indice del suo stato di salute?