Atteso, invocato, temuto, sottovalutato e infine eccolo nelle sale il seguito del pluripremiato Il silenzio degli innocenti che dieci anni fa portò sul grande schermo le gesta del cannibale più famoso della storia del cinema. Hannibal non è un film mediocre, perché è il sequel di una pellicola tanto riuscita. Hannibal è una pellicola deludente di per sé, perché noiosa, lunga e farraginosa. Come il libro da cui è stata tratta che rispecchia fedelmente se non per un finale in stile Fantomas, la sceneggiatura di Hannibal è fondata sul nulla, sul dire e ripetere qualcosa che era molto più significativo se lasciato in sospeso e non detto. Esplicitando il tutto, trasformando il serial killer in una specie di Arsenio Lupin innamorato (chissà poi e perché dell'agente Clarice Sterling) si è tentato di fare della mera clonazione a fini commerciali, dettata dalle regole di marketing e non da un vero senso artistico. L'Hannibal Lecter del 2001 non ha nulla da dire o di appetibile da mostrare. Trasformato in una sorta di esteta tuttofare, è un supereroe cattivo, un emblema postmoderno del cannibalismo commerciale che vuole sfruttare fino alla rovina ogni singola buona idea. E oggi che Antony Hopkins tornerà per la terza volta nel terzo libro di Harris dedicato a questo personaggio (Red Dragon già portato sullo schermo da Micheal Mann nel 1986 nel film Manhunter con l'attore Brian Cox nel ruolo reso famoso da Hopkins) Hannibal con tutta la sua cattiveria, con la sua dentiera pronta ad azzannare, uccidere e mangiare il cattivo di turno) ci fa solo tanta tenerezza. Il film che porta il suo nome con una Firenze cupa fotografata come se fosse la città di Blade Runner è una pellicola costruita sul carisma di un attore che fa al meglio il personaggio cui ha legato indissolubilmente il suo nome. L'Hannibal gigione, che vive a lume di candele, è una creatura della notte, quasi un Nosferatu (il film complessivamente risente molto l'influsso delle suggestioni di Murnau e della favola della Bella e la Bestia) che vola in classe di lusso, che ha un sacco di soldi (fatti chissà come) per andare a pasteggiare un po' qua e un po' là a base di carne umana. Poi ci sono gli italiani: questi corrotti mangiatori di spaghetti che giorno dopo giorno passano il tempo soltanto a pensare come fregare gli altri. Un film qualunquista con l'Italia trasformata in un'utile Bignami per chi vive in Oklahoma con una storia lunga, esplicita e noiosa, dove una Julianne Moore inespressiva tenta di fare dimenticare Jodie Foster. Un seguito inutile e dannoso per chi ha amato il capostipite di una serie tutt'altro che esaltante e un film in cui Ridley Scott pur dando il suo meglio come regista, non poteva fare di più nel trasformare in oro una non storia fondata sul presunto spin off di un personaggio...