Ecco il perché di Huey, Dewey e Louie. Copie fisiche perfette, più giovani di trent'anni rispetto a Max. Essere una copia non basta. Gli scienziati sapevano che cervelli identici possono prendere strade differenti. Perciò avevano creato tre copie distinte, cresciute separatamente, e ora le avevano riunite. Per osservarle. Per capire chi di loro fosse più simile al vero Max. E chi avrebbe potuto diventare Max. Un secondo Max che, all'insaputa di quasi tutti, avrebbe potuto affiancarlo. Liberarlo da alcune incombenze. Reggere parte del suo impero. Disorientare il nemico. E, chissà, forse un giorno sostituirlo. Quando lui fosse stato troppo vecchio, o stanco, prendere il suo posto. Lo stesso Max gli avrebbe passato lo scettro, si sarebbe ritirato a godersi le sue sterminate ricchezze, e gli avrebbe lasciato n eredità il proprio impero. Il clone sarebbe diventato il nuovo Max. Avrebbe creato a sua volta dei cloni, perpetuando l'impero all'infinito. Come non essere tentati da un simile destino, soprattutto quando non si ha alcuna alternativa? Il risultato era scontato. Tutti e tre, a breve distanza l'uno dall'altro, accettarono di proseguire nel loro percorso, di poter diventare l'ombra di Max.

Max non sarebbe stato Max se si fosse accontentato di una buona approssimazione. Max non avrebbe approvato nulla di meno che la perfezione. Per questo aveva richiesto tre cloni: perché almeno uno avesse la possibilità di arrivare al termine del percorso che aveva stabilito. Che prevedeva lezioni, esercitazioni, allenamenti severissimi, e una sorveglianza costante per stroncare sul nascere ogni deviazione dal comportamento previsto. Non era una cosa facile da affrontare, non tutti ce l'avrebbero fatta. E, infatti, Dewey non ce la fece.

Nella sua memoria, Huey ricordava Dewey con ogni sorta di piccoli difetti che lo rendevano dissimile da sé. Era leggermente troppo alto. L'attaccatura dei capelli troppo bassa. Un orecchio un po' a sventola. Il suo odore corporeo era estraneo e vagamente sgradevole. Ma forse erano tutte razionalizzazioni per non affrontare il fatto di avere visto un essere così simile a sé cadere e spezzarsi. Fin dalle prime prove, un lieve distacco lo separò dagli altri due. Distacco che crebbe fino a diventare una voragine. Gli istruttori lo trattavano rudemente, ma ciò che più lo feriva, probabilmente, era l'indifferenza delle altre due copie di se stesso, che subito lo avevano escluso in quanto anello debole, incapace di diventare veramente Max. La determinazione di Dewey si infranse. Alla prima occasione che ebbe di uscire dalla scuola, non rientrò.

Una parte di Huey accolse la notizia della scomparsa del compagno come una vittoria: il primo avversario era caduto. Ma non poté fare a meno di interessarsi alla sua sorte. Nessuno volle dirgli nulla, ma dopo qualche tempo qualcuno si lascio sfuggire che era stato ritrovato, appena poche ore dopo la fuga. Il fatto che nessuno volesse minimamente accennargli che cosa fosse stato di lui atterrì Huey più di qualsiasi descrizione. Per la prima volta si rese conto di cosa lo aspettava se avesse fallito. Una morte oscura e l'oblio perenne erano tutto ciò che avrebbe avuto.

Si applicò con impegno sovrumano. Sopportò tutto, anche l'invecchiamento artificiale che gli fu imposto nella fase finale. Nanomacchine gli penetrarono nel corpo, lavorando per renderlo meno efficiente. Una procedura indolore, ma i cui effetti sentì pesare da un giorno all'altro su muscoli, sensi, articolazioni. Gli fu spiegato che, una volta raggiunta l'età apparente prevista, le macchine avrebbero invertito il loro funzionamento, impedendogli di invecchiare ulteriormente, come già accadeva per il vero Max. Huey osservò le rughe apparirgli sul volto nel giro di poche settimane. Il senso acuto di privazione che provò vedendosi sfilare via la giovinezza senza averla vissuta fu il suo più grande sacrificio al culto di Max.