Albert Einstein
Albert Einstein

In uno dei racconti più celebri di Isaac Asimov, da lui personalmente definito il suo migliore, L’ultima domanda, del 1956, due tecnici discutono del destino ultimo dell’Universo, sottoposto alla legge ferrea della crescita dell’entropia prevista dalla seconda legge delle termodinamica, e decidono di chiedere al più potente supercomputer esistente, il Multivac, se in futuro sarà mai possibile riuscire a invertire la crescita dell’entropia per dare vita a un nuovo Universo. Il computer ci pensa su e risponde di non avere elementi sufficienti per rispondere, ma che continuerà a cercare una soluzione. Passano gli anni, i millenni, le ere geologiche, l’umanità si è dispersa nell’Universo e ha assunto altre forme, ma i successori del Multivac continuano a rimuginare su quel problema posto molto tempo fa; infine, alla fine del tempo e dello spazio, il supercomputer AC, l’unica forma di intelligenza cosciente rimasta in quel che resta dell’Universo, arriva alla soluzione: «“La luce sia!”, disse AC. E la luce fu…»i.

Il fascino di questo racconto consiste nella sua capacità di metterci di fronte alla prospettiva, all’epoca ancora lontana dall’essere radicata, che il nostro Universo debba avere prima o poi una fine, a causa dell’aumento del disordine (l’entropia) previsto dalla seconda legge della termodinamica, per la quale tutti i sistemi finiscono per dissipare una parte della loro energia in radiazione termica inutilizzabile, finché l’intero Universo – per definizione un sistema chiuso – non raggiungerà l’equilibrio termodinamico, una situazione in cui non è più possibile estrarre energia per compiere un lavoro, per cui non potranno più accendersi stelle, non ci saranno più galassie, né pianeti, né vita. Questa prospettiva è diventata ancora più certa dopo la scoperta, nel 1998, di un’energia oscura responsabile dell’accelerazione dell’espansione cosmica; fino ad allora restava ancora possibile credere che, a un certo punto nella storia cosmica, l’espansione prodotta dal Big Bang si sarebbe arrestata per effetto della gravità, e l’Universo sarebbe collassato su se stesso in un Big Crunch, da cui forse avrebbe potuto emergere un nuovo Universo. Certo, c’è ancora la possibilità che l’energia oscura, in futuro, perda i suoi effetti, e che pertanto questo scenario, oggi implausibile, possa realizzarsi; ma pochi fisici sarebbero disposti a scommetterci qualcosa.

L’entropia è l’ostacolo più grande di qualsiasi modello di universo ciclico. Nel 1931 Albert Einstein prese in considerazione un simile modello, sostenuto dalle soluzioni alle equazioni della relatività generale trovate dal matematico russo Aleksandr Friedmann, il quale aveva previsto tanto un universo “aperto” quanto un universo “chiuso”, collassante su se stesso. Richard Tolman, eminente fisico del Caltech di Pasadena, incoraggiò Einstein elaborando un modello di “universo oscillatorio”, dimostrando che la relatività generale avrebbe limitato al minimo la crescita di entropia da un universo all’altro. Ben presto, tuttavia, si scoprì che anche questa minima crescita avrebbe richiesto pur sempre un inizio dell’universo nel tempo, proprio quel che Einstein, fedele all’idea tradizionale, voleva evitare: se l’entropia tra un ciclo e l’altro aumenta, ogni Universo sarà più grande del precedente, per effetto della pressione positiva impressa dalla radiazione termica; pertanto, scorrendo il tempo a ritroso, si arriverà a un Universo tanto piccolo da concentrare valori infiniti di densità e curvatura in un punto di dimensioni nulle, la singolarità spazio-temporale che oggi chiamiamo Big Bang.

C’è tuttavia un altro problema che l’universo oscillatorio di Einstein, Friedmann e Tolman non risolveva, al di là del fatto di continuare a prevedere un origine dello spazio-tempo: il Big Bang ha la peculiare caratteristica di possedere entropia minima, esattamente come un uovo che si trova sull’orlo di un tavolo. Quando l’uovo cade e si frantuma al suolo, l’entropia del sistema – il suo “disordine” – aumenta, come è avvenuto con l’Universo a partire dal Big Bang. Crediamo che il Big Bang rappresenti uno stato di minima entropia per il semplice fatto che, se l’entropia aumenta nel tempo (la seconda legge della termodinamica orienta anche la freccia del tempo, che scorre solo in avanti, mai indietro), allora tutto deve aver avuto origine da uno stato di entropia più bassa. Se quindi vogliamo avere un universo ciclico, come quello che suggerisce il finale del racconto di Asimov, abbiamo bisogno di trovare un modo per ridurre nuovamente l’entropia a un livello minimo, così da far “ripartire il nastro” da capo.

Nel 1999 due fisici e cosmologi, Paul Steinhardt e Neil Turok, trovarono una possibile soluzione. Steinhardt era stato uno principali teorici dell’ipotesi dell’inflazione cosmica introdotta da Alan Guth e Andrei Linde, la quale, come si è detto (v. http://www.fantascienza.com/20825/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-parte-i), prevede tra l’altro come conseguenza la nascita continua di nuovi “universi-bolla” al di là del nostro orizzonte cosmico. Questo effetto collaterale metteva a disagio Steinhardt: l’inflazione sembrava risolvere un problema e introdurne un altro, di dimensioni ben maggiori. Era possibile trovare un modo di spiegare quelle stranezze dell’universo primordiale – la sua uniformità, la sua piattezza, le piccole disomogeneità da cui hanno avuto vita la galassie – alternativo all’inflazione, senza cioè prevedere anche al tempo stesso il multiverso? Una possibilità emergeva dalla teoria M, la versione più avanzata della teoria delle stringhe, la quale, oltre a prevedere dieci dimensioni spaziali, implica l’esistenza di “brane”, superfici multidimensionali all’interno di un “bulk”, uno spazio dotato di dimensioni extra (per i dettagli v. http://www.fantascienza.com/21658/il-migliore-degli-universi-possibili-la-scoperta-del-multiverso-parte-ii). Seguendo una proposta dello stringhista Burt Ovrut, Steinhardt e Turok immaginarono due universi-brana, legati tra loro solo da una stringa chiusa che veicola la forza di gravità (l’unica forza interagente tra i due universi-brana), ciascuno di 9 dimensioni spaziali, solo tre delle quali “distese” come nel nostro universo, le altre “compattificate”, e immersi in un “bulk” a dieci dimensioni. A dividere le due brane c’è quindi una dimensione extra: e se, si chiesero, questa dimensione extra potesse contrarsi e far periodicamente scontrare le due brane? L’effetto, calcolarono, sarebbe stato identico al Big Bang: l’energia cinetica prodotta si sarebbe trasformata in materia e radiazione in un’enorme “vampata” di fuoco che avrebbe distrutto gli universi-brana precedenti e dato vita a due nuove brane. Chiamarono questo modello “universo ecpirotico”, dal greco ekpyrosis, ossia “uscire dal fuoco”, termine che nella filosofia degli Stoici indicava appunto il momento di creazione-distruzione tra un ciclo e l’altro della realtà.

Diversamente dai modelli tradizionali di universo oscillatorio, l’universo ecpirotico non prevede una

contrazione e quindi un’inversione della freccia nel tempo per ridurre l’entropia. Non assisteremmo, dunque, all’inquietante scenario descritto da Philip K. Dick nel romanzo In senso inverso, dove i morti resuscitano dalle tombe e iniziano a ringiovanire fino allo stadio fetale. Spiegano gli autori: «Nel nuovo modello ciclico si contrae soltanto la dimensione extra. L’entropia si crea nelle brane – per esempio, quando le brane collidono o quando si ha la formazione delle galassie e delle stelle – quindi si diffonde finemente durante il resto del periodo di espansione. L’accelerazione dell’espansione dovuta all’energia oscura fa sì, in modo particolarmente efficace, che la gravità possa far posto alla nuova entropia, così la concentrazione di entropia sulle brane rimase bassa. Quindi le brane continuano a espandersi anche durante la fase di contrazione – nella quale, ricordiamo, si contrae soltanto la dimensione extra – e l’entropia sulle brane non è mai concentrata»ii.

La teoria M, come si è visto nel precedente capitolo di questa serie, include l’ipotesi del multiverso, sia perché può comunque prevedere l’inflazione, sia perché si fonda sull’idea che possano esistere numerose brane multidimensionali che fluttuano nel “bulk”. Viceversa, il modello cosmologico di Steinhardt e Turok fa a meno dell’inflazione e prevede solo due brane, una delle quali è quella su cui viviamo, ossia il nostro universo, mentre l’altra sarebbe composta sostanzialmente di materia oscura, probabilmente molto diversa rispetto al nostro universo, quasi certamente invivibile. Quando si scontrano, le due brane non creano un universo-figlio, ma subiscono una riconfigurazione del tutto identica alla situazione del nostro universo subito dopo il Big Bang, dominato da materia e radiazione ad altissima temperatura e densità. Gradualmente, l’espansione comporta una diminuzione delle temperature e una diluizione della densità, mentre l’energia oscura – che in questo modello è spiegata come l’energia potenziale elastica che tiene insieme le due brane in un eterno balletto cosmico – assume a un certo punto il predominio, spingendo l’universo all’interno della brana verso un’espansione accelerata, quella che noi stiamo attualmente sperimentando. Nel modello dell’universo ecpirotico, tuttavia, l’energia oscura è destinata a decadere, quando l’energia potenziale di cui è espressione scenderà a zero, nel momento di massima distanza delle due brane. A quel punto inizierà il loro graduale avvicinamento, sotto l’effetto della reciproca attrazione gravitazionale; l’espansione residua ha l’effetto di “stirare” le brane fino a renderle piatte e uniformi, cosicché queste proprietà sono ereditate dal nuovo ciclo cosmico (in tal modo sono spiegabili senza far ricorso all’inflazione), mentre l’energia cinetica che si scatena dal graduale avvicinamento viene convertita in nuova materia e radiazione nel momento dello scontro. Poiché inoltre le brane non sono rigide, ma fluttuano come un lenzuolo mosso dal vento, non si scontreranno nello stesso momento su tutta la loro superficie: in alcuni punti questo scontro avviene prima, in altri dopo. Nei punti in cui la collisione è avvenuta prima, materia e radiazione risultanti hanno avuto il tempo di diradarsi sotto l’effetto dell’espansione; nei punti in cui è avvenuta più tardi, invece, si sviluppano quegli addensamenti da cui nascono le galassie e tutto ciò che contengono. Questo meccanismo spiega dunque la disomogeneità dell’universo primordiale senza far ricorso all’ipotesi dell’inflazione.

Illustrazione artistica di un quasar molto simile all'oggetto APM 08279+5255, dove gli astronomi hanno scoperto una grande quantità di vapore acqueo. Image credit: NASA/ESA
Illustrazione artistica di un quasar molto simile all'oggetto APM 08279+5255, dove gli astronomi hanno scoperto una grande quantità di vapore acqueo. Image credit: NASA/ESA

The Ekpyrotic Universe: Colliding Branes and the Origin of the Hot Big bang (“L’Universo Ecpirotico: brane in collisione e l’origine del Big bang caldo”) fu pubblicato per la prima volta nel novembre del 2001iii. Sebbene i proponenti fossero nomi di grande spessore nel panorama della fisica e della cosmologia (Turok, più giovane, ha proseguito una brillante carriera che l’ha portato oggi a dirigere il prestigioso Perimeter Institute di Waterloo, in Canada), le critiche non si contarono. Ad Andrei Linde, tra i padri della teoria dell’inflazione, lo scisma del suo collega Steinhardt non andò proprio giù. Con i colleghi Renata Kallosh (sua moglie) e Lev Kolfman firmò un articolo molto duro fin dal titolo (Pyrotechnic Universe, “Universo pirotecnico”, prendendo in giro a un tempo gli scenari cataclismatici proposti nel modello e la sua denominazione)iv. L’articolo dimostrava che il modello ecpirotico non era coerente con la teoria M (in particolare assegnava alle brane una tensione negativa laddove le brane nella teoria M devono avere tensione positiva), inseriva elementi inventati appositamente per spiegare l’origine dell’energia potenziale delle due brane, non spiegava da nessuna parte cosa accadesse in dettaglio nel momento della collisione tra le brane, richiedeva un eccessivo fine-tuning, ossia una “sintonia fine” dei parametri per far funzionare tutto il meccanismo.

Steinhardt e Turok respinsero le accuse al mittente, ma al tempo stesso si misero al lavoro con i loro colleghi per aggiungere dettagli più precisi (e anche per migliorare l’appeal del modello cambiandone il nome: oggi si chiama “universo-fenice”). Recentemente si sono concentrati, in particolare, sulla descrizione di ciò che avviene nel momento della collisione, ribattezzata variamente “Big Splat” o “Big Bounce” (“grande rimbalzo”). Gli scenari possibili sono due. Il primo è quello proposto da Neil Turok in collaborazione con il fisico teorico Steffen Gielen dell’Imperial College di Londrav: in questo scenario, si ipotizza che l’universo primordiale possa essere descritto come un unico sistema quantistico, per via del fatto che in quell’epoca (fino a 50.000 anni dopo il Big Bang) vigeva una geometria di tipo conforme, ossia non dipendente dalla scala. La luce, per esempio, è conforme, perché pur potendo assumere qualsiasi lunghezza d’onda (da quella delle onde radio ai raggi X, quasi ai due estremi dello spettro elettromagnetico) sarà sempre descritta dalle equazioni di Maxwell. Poiché la fisica quantistica prevede, tra le sue peculiarità, un fenomeno detto “effetto tunnel”, secondo il quale una particella può emergere al di là di una barriera fisica altrimenti invalicabile, per il fatto che la particella non possiede, nel reame quantistico, una posizione specifica nello spazio, ma solo una probabilità di trovarsi in una determinata posizione, anche l’intero universo primordiale può essere trattato in questo modo ed emergere al di là dell’apparente singolarità: l’universo del ciclo precedente compie questo passaggio critico attraverso la “soglia” e riemerge nel nuovo universo.

Il secondo scenario è stato sviluppato da Steinhardt e non fa ricorso alla gravità quantistica ma solo alle equazioni della relatività generale, dimostrando che anche in un modello classico è possibile evitare la singolarità e ottenere un Big Bounce, grazie a un campo particolare che trasforma la contrazione in espansione ben prima che l’universo raggiunga la densità critica che produce la singolaritàvi. Queste soluzioni, tuttavia, sono state accolte da rinnovato scetticismo dai sostenitori dell’inflazione. Renata Kallosh ha espresso un giudizio tranchant commentandone i risultati su Scientific American: «Non mi piace il fatto che non ammettano che tutti i loro articoli precedenti dovrebbero essere ignorati. Ora fanno una nuova affermazione, alla quale non credo»vii.

C’è però una possibilità di mettere fine alla querelle. Nonostante il fatto che entrambi riescano a spiegare le proprietà note dell’universo primordiale, il modello cosmologico inflazionario (che prevede il multiverso) e quello dell’universo-fenice (che invece non lo prevede, sostituendolo con cicli cosmici periodici) si differenziano su un punto di rilevanza fondamentale. Nel modello inflazionario lo stiramento delle fluttuazioni quantistiche – normalmente di dimensioni microscopiche – a scale enormi, sotto l’effetto della spinta dell’inflazione, genera un gran numero di onde gravitazionali con caratteristiche particolari. I modelli non-inflativi, come l’universo-fenice, non prevedono questo tipo di onde gravitazionali primordiali. Se le rilevassimo, l’inflazione avrebbe vinto la gara, e non ci sarebbe più spazio per gli universi ciclici nella versione di Steinhardt e Turok.

Queste onde gravitazionali avrebbero lasciato un’impronta chiara sulla radiazione di fondo cosmica dell’Universo, emessa 400.000 anni dopo il Big Bang, quando l’universo è diventato “trasparente” alla radiazione elettromagnetica. Il concetto-chiave qui è quello della polarizzazione: la radiazione elettromagnetica può essere polarizzata o non polarizzata, per esempio quella emessa dal Sole non lo è, ma lo diventa quando entra in atmosfera e colpisce gli atomi che vi si trovano, venendo deviata nello scontro (il fenomeno è detto “dispersione”); il risultato è che il campo elettromagnetico dell’onda inizia a oscillare verticalmente od orizzontalmente in modo perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione dell’onda. Anche la radiazione emessa all’epoca del disaccopiamento non era polarizzata, ma ma lo è diventata scontrandosi con l’enorme addensamento del plasma dell’universo primordiale. La presenza di disomogeneità in questo plasma ha permesso alla polarizzazione di preservarsi fino a oggi e lasciare un’impronta caratteristica sul fondo a microonde, di due tipi: quella di “modo E” è l’effetto delle fluttuazione della densità di energia nell’universo primordiale, quella di “modo B” è l’effetto di onde gravitazionali prodotte durante l’inflazione. Scoprire la polarizzazione di modo B del fondo cosmico a microonde costituirebbe la prova finale dell’inflazione e la sconfessione di tutti i modelli non-inflazionari. Nel marzo 2014 fece letteralmente il giro del mondo la notizia che uno degli esperimenti sviluppati per cercare questa prova, BICEP-2, aveva trovato la “pistola fumante”. Mentre Linde e Kallosh vennero ripresi in casa a brindare, e Steinhardt da bravo scienziato ammetteva il fallimento del suo modello, il colpo di scena: la scoperta non era che un abbaglio, dovuto all’interferenza della polvere galattica sulle osservazioni compiute dai palloni-sonda dell’esperimento. Oggi, quindi, i giochi sono ancora aperti ed entrambi i modelli ancora in gara.

Uno dei limiti del modello dell’universo-fenice è tuttavia dovuto al fatto di fondarsi sulla teoria M, quindi sulla teoria delle stringhe, le brane e le dieci dimensioni spaziali al posto delle tre che conosciamo. Sebbene la maggior parte dei fisici teorici accetti questi presupposti, negli ultimi anni sta crescendo il fronte di coloro che mettono in dubbio la bontà della teoria delle stringhe come modello descrittivo della realtà e stanno acquistando maggiore credito ipotesi alternative, come la gravità quantistica a loop, che prevede a sua volta un Big Bounce, sebbene non sia in grado di dettagliare un modello cosmologico in cui l’entropia venga mantenuta basso al momento del “rimbalzo”. Un’alternativa seducente è stata invece proposta da Sir Roger Penrose, che è stato uno dei primi teorici delle singolarità gravitazionali insieme a Stephen Hawking, nonché tra i primissimi a studiare le teorie di gravità quantistica con un approccio diverso da quello delle stringhe (la cosiddetta “teoria dei twistors”, o “torsori”). Nel suo libro del 2010 Cycles of Time, tradotto in Italia con il titolo Dal Big Bang all’eternità, Penrose propone un modello denominato “cosmologia ciclica conforme” (CCC) che non prevede nessuno degli esotismi della cosmologia quantistica, e che pertanto può funzionare a prescindere dalle diverse ipotesi di gravità quantistica (teoria delle stringhe, loop o twistors).

Tutto il modello poggia sull’entropia. Per Penrose, la ciclicità dell’Universo è possibile solo se si trova un meccanismo in base al quale l’altissima entropia che avremo alla fine del tempo, quando l’Universo sarà in equilibrio termodinamico dato dall’evaporazione di tutti i buchi neri, potrà ridursi allo stato di minima entropia del Big Bang, senza violare la seconda legge termodinamica prevedendo contrazioni che facciano invertire la freccia del tempo. Penrose mostra che il principale apporto alla crescita dell’entropia nell’Universo è dato dai buchi neri: di fatto, il Sole e le altre stelle, così come la Terra e gli altri pianeti, sono sistemi molto ordinati rispetto al plasma di quark e gluoni che dominava l’Universo primordiale; se l’entropia della fase attuale è maggiore di quella della fase primordiale è per il contributo dei buchi neri, all’interno dei quali materia e radiazione sono distrutti e ridotti a uno stato di estremo disordine. Gradualmente, i buchi neri assorbiranno tutta la materia e la radiazione dell’universo, aumentando di conseguenza sensibilmente l’entropia.

Proprio perché soggetti all’entropia, tuttavia, i buchi neri – scoprì Stephen Hawking negli anni Settanta – possono emettere calore. In un’epoca molto remota, quindi, gradualmente tutti i buchi neri evaporeranno per effetto della radiazione di Hawking (un effetto di natura quantomeccanica), emettendo radiazione termica. Questo fenomeno ha destato grande scalpore negli anni, perché sembra violare un principio fondamentale della fisica quantistica, quello per cui l’informazione non può mai andare distrutta: se un libro viene gettato in un camino, è sempre possibile, in linea di principio, ricostruirne l’informazione dalle ceneri e dalla radiazione termica prodotta; viceversa, la radiazione emessa da un buco nero è identica a quella di un corpo nero, la cui proprietà è che l’unica informazione estraibile è la sua temperatura. Il buco nero, quindi, non è in grado di restituirci alcuna informazione sulla materia che vi è finita dentro. Per Penrose, questo meccanismo è di capitale importanza per il modello CCC: mentre Hawking, recentemente, ha fatto marcia indietro, sostenendo che sia possibile comunque estrarre informazione dalla radiazione emessa dai buchi neri (e su questo punto si basa anche la proposta di Big Bounce della gravità quantistica a loop), Penrose crede che invece la perdita d’informazione nei buchi neri sia reale.

Ma perché questo punto è così importante? Penrose sostiene che la minima entropia del Big Bang sia dovuta al fatto che su di esso non si applichino i gradi di libertà gravitazionali, ossia le proprietà che caratterizzano tutti i corpi soggetti a gravità (tra cui anche le singolarità al centro dei buchi neri). Poiché è la gravità ad aumentare l’entropia, il fatto che essa non si applichi alla singolarità iniziale è ciò che permette alla sua entropia di restare bassa. Ora, quando la materia finisce in un buco nero, perde tutta la sua informazione, tra cui i gradi di liberà gravitazionali che ne descrivono il comportamento. Quel che esce dal buco nero dopo la sua evaporazione, quindi, è radiazione a bassissima entropia.

Stephen Hawking presenta Master of science fiction
Stephen Hawking presenta Master of science fiction

Resta il fatto, tuttavia, che l’Universo alla fine del tempo sia enormemente esteso e di ben altra natura rispetto a quello che emerge dalla singolarità iniziale. Ma solo apparentemente, secondo Penrose. L’evaporazione dei buchi neri lascerà l’Universo al suo stadio finale riempito solo di particelle senza massa, come i fotoni e i gravitoni. Per particelle prive di massa il tempo non esiste (se fossimo un fotone, che viaggia alla velocità della luce, vedremmo l’intera storia dell’Universo scorrere davanti a noi in un attimo); e se non esiste il tempo, non esiste nemmeno lo spazio. In quest’epoca finale, non c’è nulla che ci permette di calcolare il tempo o la dimensione dell’universo: si applica ad esso la geometria conforme, che come si è detto è invariante per scala. Una situazione identica a quella dopo il Big Bang, in cui «l’energia cinetica dei moti delle particelle doveva essere così gigantesca da surclassare nel modo più completo le loro rispettive energia riposo, che al confronto erano minuscole (E=mc2, per una particella di massa a riposo m)» nota Penrose, che aggiunge: «Pertanto, la massa a riposo delle particelle doveva essere di fatto ininfluente: in pratica, per quanto concerne i processi dinamici rilevanti, era come se fosse pari a zero. Nei suoi primissimi momenti di vita, l’universo era quindi pieno di particelle che risultavano effettivamente prive di massa», esattamente come nello stadio finale dell’Universo precedente viii. Come volevasi dimostrare.

Il modello della CCC di Penrose fa una serie di predizioni: innanzitutto, dev’essere vero che la radiazione di Hawking non restituisce l’informazione del contenuto del buco nero; in secondo luogo, tutte le particelle dotate di massa devono decadere sul lunghissimo periodo, perché è sempre possibile che qualche elettrone, protone o particella di materia oscura sfugga agli enormi buchi neri alla fine del tempo, per cui è necessario che perdano anche loro massa, fatto questo non osservato finora in nessun esperimento, ma che potrebbe risultare verso su un tempo lunghissimo (ciascun “eone”, come Penrose definisce i cicli dell’Universo, durerebbe 10^100, ossia un googol di anni). Infine, le onde gravitazionali prodotte dalla collisione tra i giganteschi buchi neri che domineranno alla fine del precedente eone dovrebbero giungere fino a noi, imprimendosi sulla radiazione cosmica di fondo sotto forma di anelli concentrici a temperature inferiori rispetto alla media: Penrose e il suo collega Vahe Gurzadyan ritengono di averle individuate nella mappa del fondo cosmico a microonde prodotta dal satellite WMAPix.

Quel che colpisce di questi due modelli è che, pur se entrambi spiegano le proprietà dell’universo primordiale facendo a meno dell’inflazione, e quindi del principale meccanismo alla base della teoria del multiverso, nondimeno prevedono l’esistenza di altri Universi, non contigui al nostro, ma esistiti in epoche precedenti e nel futuro. In tal modo diventa possibile anche spiegare il dilemma antropico, ossia il fatto che le costanti fondamentali dell’Universo possiedano valori che, se differissero di pochi decimali, renderebbero impossibile la vita: in ciascun ciclo, l’Universo subisce una lieve variazione di questi valori, cosicché la maggior parte degli universi del passato e del futuro sono di fatto invivibili, e noi non siamo che i fortunati vincitori di una lotteria cosmica che si ripete ogni googol di anni… (continua).

Note 

i Isaac Asimov, L’ultima domanda, in Id., Il meglio di Asimov, Mondadori, Milano, 1975.

i Paul J. Steinhardt, Neil Turok, Universo senza fine. Oltre il big bang, il Saggiatore, Milano, 2010, p. 202.

iii Justin Khoury, Burt A. Ovrut, Paul J. Steinhardt, Neil Turok, “Ekpyrotic universe: Colliding branes and the origin of the hot big bang”, Physical Review D, vol. 64, novembre 2001.

iv Renata Kallosh, Lev Kofman, Andrei Linde, “Pyrotechninc Universe”, Physical Review D, vol. 64, 28 novembre 2001.

v Steffen Gielen, Neil Turok, “Perfect Quantum Cosmological Bounce”, Physical Review Letters, vol. 117, 8 luglio 2016.

vi Anna Ijjas, Paul J. Steinhardt, “Classically stable non-singular cosmological bounces”, Physical Review Letters, vol. 117, 16 settembre 2016.

vii Clara Moskowitz, “Did the Universe Boot Up with a «Big Bounce?», Scientific American, 3 agosto 2016; tr. it. “L’universo è nato da un grande rimbalzo?”, Le Scienze, 6 agosto 2016.

viii Roger Penrose, Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma all’universo, Rizzoli, Milano, 2011, p. 181.

ix Vahe G. Gurzadyan, Roger Penrose, “On CCC-predicted concentric low-variance circles in the CMB sky”, European Physical Journal Plus, vol. 128 n. 22, 2013.