Non sarà Seven e neppure un buon episodio di Millennium, ma bisogna certo riconoscere che Resurrection non è così male e - per come si preannunciava - poteva diventare anche molto peggio. Tenuto su da una trama interessante (un serial killer che uccide solo uomini di 33 anni con il nome di apostoli, mutilandoli ciascuno di un arto diverso) il film vede riunita la coppia Christopher Lambert-Russel Mulcahy che ormai quasi quindici anni fa, conquistarono il pubblico con il loro Highlander. Salvo poi deluderlo con seguiti assurdi e inspiegabili. E le stesse stranezze e incertezze che tanto hanno afflitto i sequel delle vicende di Connor McLeod, sono quelle che per tutto il primo tempo rendono inefficace e poco convincente Resurrection. Salvato, però, da un finale esplosivo e molto intelligente. Dopo quasi un'ora di situazioni di contorno già viste e abusate (la morte del figlio, l'incapacità di comunicare con la moglie, i colleghi antipatici e così via) Resurrection si rianima per regalare al pubblico quasi ormai assuefatto dal torpore, una fine credibile e costruita in maniera molto originale con scariche adrenaliniche a volontà. Peccato che il resto della pellicola non sia all'altezza dei suoi ultimi minuti. Colpa certamente del regista che nella disperata ricerca di atmosfere umide in stile Blade Runner, muove la macchina da presa in maniera "pazzerellona", chiedendo addirittura all'incolpevole direttore della fotografia di girare gli esterni quasi sempre sotto la pioggia. Passi la pioggia finta (che sullo schermo dà sempre un effetto stranoŠ), ma che sotto la coltre d'acqua si intraveda il cielo blu è davvero assurdo se non ridicolo. Un segnale concreto della superficialità con cui è stata resa una storia dalle notevoli potenzialità, deludente quando vuole assomigliare ad altri film ben più meritori, riuscita e convincente quando tenta di essere originale, infischiandosene di quelli che ormai non sono altro che comuni cliché.