Tron: Ares è il terzo capitolo della saga targata Disney iniziata con Tron, nel 1982, ripresa poi nel 2010 con Tron Legacy nel 2010.
Il protagonista eponimo è stavolta un programma realizzato nel GRID, ovvero il mondo interno ai computer, Ares (interpretato da Jared Leto), inviato nel mondo reale per una missione dal suo creatore, Julian Dillinger (Evan Peters), CEO della Dillinger Security, azienda fondata da quell'Ed Dillinger (il compianto David Warner) che nel primo film era il principale antagonista di Kevin Flynn (Jeff Bridges), fondatore della ENCOM.
Dal nome, si intuisce che sia un programma creato con intento bellicoso: impedire che Eve Kim (Greta Lee), brillante scienziata e attuale CEO della ENCOM, trovi il codice Permanence, ovvero la chiave che consente alla tecnologia che materializza nel nostro mondo gli oggetti creati nel GRID di restare permanenti, e di non essere risucchiati nel mondo informatico dopo 29 minuti. Una tecnologia che potrebbe essere usata per scopi nobili come militari, a seconda di chi la deterrà.
Ma durante le sue prime missioni sul nostro mondo Ares comincerà ad andare oltre i limiti della sua programmazione, iniziando un percorso di scoperta del mondo degli umani, ma anche di crescita di consapevolezza che lo porterà a una lotta senza tregua, per il futuro stesso di entrambi i mondi, quello digitale e quello fisico.
Tron: Ares non nasconde di essere un gigantesco paese dei balocchi per chi ama l'estetica e il mondo di Tron. Durante il film assistiamo a eventi spettacolari, come la materializzazione nel mondo fisico di nuove versioni di oggetti di culto, come le mitiche moto, le astronavi di Space Paranoids, e tante altre invenzioni rappresentate allo stato dell'arte. Il film rifugge la riscoperta dell'estetica anni '80 a tutti costi. Non che manchino i momenti nostalgia, come musiche e una breve incursione nel GRID del primo film ma, come Tron era realizzato al meglio della tecnologia dell'epoca, Tron: Ares ha la resa visiva di un film realizzato per l'IMAX. L'unico appunto che gli si potrebbe fare è che se il primo film cercava di alzare l'asticella della sua epoca, Ares (come già Legacy) è allo stato dell'arte odierno, senza proporre balzi evolutivi.
Ma per quello servono registi visionari, e Joachim Rønning è un onesto regista di produzione, di quelli che portano a casa il film e che servono all'industria, ma anche se non ha il guizzo del genio, riesce a dosare bene effetti pratici e digitali, dando un senso di tangibilità e credibilità alle scene d'azione. Gioca quindi con perizia le varie combinazioni offerte dalla storia: oggetti e programmi del GRID che diventano reali; persone fisiche che cercano di usare tali costrutti con enorme difficoltà; i programmi del GRID che si baloccano con gli oggetti reali; le persone fisiche risucchiate nelle diverse versioni del GRID.
Narrativamente il film vorrebbe esplorare i temi della scoperta dell'emotività e dell'empatia da parte di un'AI. Citando Pinocchio e Frankestein punta sul tema della ricerca della propria umanità, evolvendo da arma letale a essere dotato di una vera coscienza e capacità empatiche.
È la parte che funziona meno, fagocitata dallo spettacolo e non supportata dalla sceneggiatura, fin troppo semplice e frettolosa, con dialoghi tagliati con l'accetta e con le musiche dei Nine Inch Nails fin troppo martellanti e disturbanti.
Anche il cast alla fine risulta solo funzionale. Jared Leto e Greta Lee hanno una buona alchimia, ma il rapporto tra i due personaggi non evolve, nonostante le buone premesse. Evan Peters, pur confermando le sue doti recitative, è anch'egli imbrigliato in un personaggio ritagliato dai peggiori stereotipi.
Il fronte del carisma è in parte salvato dai piccoli ruoli di Gillian Anderson, nella parte di Elisabeth Dillinger, madre di Julian, unica voce ragionevole che cerca di avvisare il figlio sulle conseguenze delle sue azioni, e da Jeff Bridges (un misto di Kal-El olografico e Jedi digitale) che dà vita una versione di Kevin Flynn che purtroppo non viene sfruttata al meglio.
Tron: Ares vorrebbe rilanciare una saga che non ha mai brillato, sin dagli inizi, per profondità narrativa. Ma come per Legacy, paga proprio lo scotto iniziale di un mondo narrativo che ha la profondità dei più semplici dei videogiochi anni '80, mentre invece negli ultimi anni molti universi videoludici hanno dato prova di poter avere una ben più ampia profondità.
Resta comunque la componente di intrattenimento visivo, da vedere nelle migliori condizioni possibili.













1 commenti
Aggiungi un commentoQuesto film è l'ennesima dimostrazione che la disney woke NON riesce a creare nulla di buono.
Storia inesistente, buchi nella trama, personaggi maschili smascolinizzati e ridotti a macchiette, personaggi femminili ridotti a banalissime mary sue.
Ormai non si contano i flop come non si contano i brand rovinati irrimediabilmente dall'incapacità generata da assunzioni basate sul colore della pelle o sull'orientamento sessuale, invece che sul merito. O dalla volontà di forzare messaggi che piacciono a una percentuale ridicola dei clienti.
Go woke, go broke.
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