Quando il tornado Barbarella scuote l’editoria francese per poi dilagare in Europa con le sue avventure, è ormai in atto un mutamento di costumi al quale il fumetto non può restare insensibile. I codici di comportamento stanno cambiando e l’industria dell’intrattenimento deve adattarsi proponendo soggetti al passo coi tempi, figli della contestazione partita nelle università ed estesa ai movimenti di autocoscienza e di liberazione della donna. Le perenni fidanzate, le mogli oppressive, le sciagurate del romanzo popolare appartengono ormai a un mondo messo in discussione. Occorrono nuove narrazioni, nuovi modelli e il momento è propizio per una salutare rivalsa di genere.

Dai tempi di Sor Pampurio fino al west di Tex Willer la presenza femminile ha sempre avuto uno scarso rilievo nei comics italiani, rimanendo interprete di funzioni gregarie, tese più che altro a complicare la vita degli eroi maschi. Le titolari di serie sono una rarità, con sporadiche eccezioni codificate di norma da stereotipi sessisti di bambolina o befana.

Gli oggetti del desiderio restano tali anche se travestiti da protagoniste, come Pantera Bionda, una sorta di tarzanide in bikini che dal ’48 combatte criminali e censura coi testi di Gian Giacomo Dalmasso e i disegni di Magni e Cubbino. Non rassicura di più i benpensanti Gey Carioca, segretaria tutta curve e pochi abiti creata da Max Massimino Garnier e Roberto Renzi su disegni di Paul Campani. Con le sue tenute scollacciate e la passione per le vitamine, Gey appare come una novità pruriginosa sugli albi dell’editoriale Subalpino tra il ’48 e il ’49, trasferendosi poi con maggior fortuna sul mercato argentino col nome di Tita Dinamita.

Si scampa allo scandalo con gli abiti morigerati e lo chignon della racchia e forzuta Nonna Abelarda, uscita nel 1955 sulla rivista Volpetto. La vecchietta nata dall’inventiva di Giovan Battista Carpi tira di destro meglio di Carnera, però non turba le famiglie, e questo la rende accettabile facendola arrivare agli anni ’70 e riapparire ancora con un colpo di coda nel ’91.

Uno scarto dal ruolo di semplice pin-up lo propone Hugo Pratt con Anna nella jungla, miniserie prodotta nel ’59 in Sudamerica e riedita poi dal CdP, in cui una giovanissima coloniale inglese vive in un Africa credibile ed esotica a cavallo tra Conrad e le strisce di Lyman Young.

Altre incursioni in ambiti poco praticati dal gentil sesso riguardano due teen-ager investigatrici, cioè Strippy la ragazza detective, apparsa nel ’68 in due albi Mondadoriani con disegni di Enrico Bagnoli e dei fratelli Montecchi e Paglia, la bionda eroina di Mino Milani e Mario Uggeri, nata sul Corrierino nel ’69 e ispirata alla grafica estetizzante della Tiffany Jones di Tourret e Butterworth.

A questo punto il dado è tratto, la donna emancipata degli anni ’60 lascia i cosmetici per il cosmo e invade la sf, aprendo la strada alle attuali Legs Weaver o Termite Bianca in un fiorire di testate effimere e di rottura.

L’anno iniziale di questa offensiva è il 1965, che in pochi mesi sforna le prime interpreti di un’autonomia sociale (e sessuale) del tutto inedita al di qua delle Alpi.

E quale stagione può essere migliore dell’estate per riscaldare i bollenti spiriti dei lettori?

In aprile appare sulla rivista Linus il critico d’arte Philip Rembrandt, i cui poteri telepatici lo rendono una sorta di supereroe col nome di battaglia Neutron. A giugno, nel giro di sole due puntate, Guido Crepax gli affiancherà la fotografa Valentina Rosselli che ruberà ben presto la scena al compagno, diventando col suo caschetto alla Louise Brooks un’icona dell’erotismo intellettuale.

La fantascienza con sfumature oniriche e horror, entra a pieno titolo nella serie con la sequenza di storie dedicate ai Blintana Matnan, il popolo cieco e misterioso collegato a Rembrandt che vive nelle profondità della Terra. Ne La discesa del ’66, nel corso di una spedizione speleologica, Valentina e compagni esploreranno complessi sistemi di cunicoli entrando in contatto con un mondo surreale, abitato da civiltà parallele e gigantesche figure dello Zodiaco, per conoscere la razza che è all’origine dei poteri di Neutron. La segmentazione del tempo, tipica del linguaggio di Crepax, dilata il racconto portandolo su un piano di percezione soggettiva, intessuta di sogni e proiezioni da teatro dell’inconscio, che nel corso del ciclo diventerà sempre più preponderante.

I Sotterranei torneranno a comparire anche nelle vicende “di superficie” della giornalista, incrociando la loro strada ai deliri reazionari della strega Baba Yaga, una figura che ispira anche l’omonimo film di Corrado Farina del ’73 con Isabelle De Funès e Carrol Baker.

Negli anni l’elemento fantastico in Valentina si fonderà al suo magmatico mondo di pulsioni profonde, assumendo un valore più allucinatorio che reale con l’incursione di astronauti, streghe e altre figure archetipe.

Si vola su cieli decisamente meno sofisticati con Alika, la nostra prima emula di Barbarella che anima dal luglio ’65 la serie sottotitolata “Il thrilling dello spazio”. Il mensile della Cofedit propone una prima sequenza di episodi in cui l’aliena del travagliato pianeta Absur vaga per l’universo con “licenza d’amare”, accompagnata dall’astronauta Martell e dal buffo robot Absur, spalla comica dalla testa a disco volante e le gambe filiformi.

Alika è bionda e libera, modellata su Brigitte Bardot e Anita Ekberg (anche se in copertina appare spesso bruna), si sposta nel tempo tramite il professor Kares stabilendosi poi sulla Terra mentre i testi di Alessandro Pascolini e Anna Taruffi, assumono un taglio satirico che prende di mira politici e personaggi dello spettacolo.

La brusca sterzata del ciclo dal numero 8 lo smarca nello scenario italico, rendendolo una singolarità, al tempo stesso decreta fatalmente la sua sorte. Va bene toccare Sanremo, i Beatles e Pappagone, passi l’erotismo all’acqua di rosa, ma il nervo sensibile della politica fa irritare i censori, che danno battaglia alla pubblicazione con vari sequestri portandola alla chiusura col numero 20. Minifoglie nel mondo di Neanderthal chiude il percorso disegnato da Giorgio Chiapperotti (autore anche delle copertine con Verola e Picchioni), insieme a Umberto Sammarini, Romano Felmang Mangiarano e Angelo Todaro.

La calda estate del ’65 vede affacciarsi un nuovo corpo celeste (è il caso di dirlo), quando ad agosto comincia la parabola di Selene, meteora dalla durata di soli 7 numeri per le edizioni Littera di Torino.

Ciò che colpisce per primo di questa pubblicazione ricalcata sull’eroina di Forest è la cura del progetto grafico di Paul Savant, pseudonimo dell’italiano Marco Rostagno. Per i primi 5 numeri Selene ha un inusuale formato album quadrato, con copertine dalla linea elegante che sembrano ispirarsi ai volumi editi da Eric Losfeld. L’uso dei retini e il segno acerbo e personale di Rostagno, maturato poi sul mensile Horror, danno inoltre carattere al personaggio vivacizzando le sue storie errabonde, venate di un erotismo soft che non scade mai in situazioni grevi.

Di mese in mese la bella Selene è sballottata in disavventure planetarie in cui conserva un candore che la distingue dalla “sorellastra” francese, confrontandosi suo malgrado con minacce aliene e classici mostri horror, in un bignami del fantastico il cui filo rosso è l’esibizione delle sue forme prosperose. I testi dei primi episodi sono tratti da novelle di Victor Newman, mentre i restanti sono firmati Dadus e Parker, pseudonimo del regista Corrado Farina e altri sceneggiatori. I disegni di Rostagno si alternano a quelli più convenzionali di Pietro Palma coadiuvato dagli scenari dell’architetto Tullio Rinaldi. Un team di lavoro che pur sostenuto dalle ricercate sceneggiature di Farina non riesce a evitare un ridimensionamento del formato e infine la chiusura.

Per una luna che tramonta, ce n’è un’altra pronta a sorgere luminosa. Di che si tratta? Lo scopriremo insieme nella parte conclusiva di questa panoramica. Per ora la stellata è ancora al suo apice, lasciamola splendere fino al mattino.