Tim Miller, regista di Terminator – Destino oscuro, si è divertito a rilasciare alcune dichiarazioni alla stampa nell’attesa del debutto del suo film e un paio di esse sono molto interessanti.

In merito all’intero franchising ha detto: “Penso che il marchio sia stato un po' rovinato. Non voglio denigrare il lavoro di nessuno dei precedenti film, alcuni di loro erano interessanti, ma mi sento come se avessero solo giocato nel mondo di Terminator, erano essenzialmente una cosa diversa. Terminator 2 – Il giorno del giudizio è stato un evento simile a una fottuta rivelazione. È uno di quei film in cui tutti ricordano quello che stavano facendo quando l'hanno visto per la prima volta.”

E in merito alla presenza di Arnold Schwarzenegger è stato ancora più tranchant: “Non volevo un Arnold digitale, questo è sicuro. Volevamo mostrare cosa significasse essere una persona di una certa età che è chiamata ad un atto di eroismo. È un qualcosa che amo. Mi sono sempre piaciute storie come quella di Rooster Cogburn ne Il Grinta, cose di questo tipo. Gli eroi imperfetti, dal mio punto di vista, sono molto più interessanti di quelli giovani e privi di difetto. E lui (Arnold) è davvero incredibile. C'erano tante donne sul set che ripetevano: Oh mio Dio, questo è il miglior Arnold che abbia mai visto. È ovvio che non è più quello dei tempi di Mr. Olympia: allora era una sorta di divinità, ma in qualche modo ha mantenuto quella caratteristica. È regale.”

E anche se noi vecchi cinici frequentatori delle sale cinematografiche vogliamo magari evitare di lasciarci prendere dall’hype, come si suol dire, possiamo però ripensare a quanto è stato fatto fino ad ora in questa serie di film.

“I'll be back.” è la frase che è diventata il marchio di fabbrica del franchising cinematografico, del personaggio (Terminator) e dell'attore (Arnold Schwarzenegger), tanto da essere citata ironicamente anche nelle sue presenze nella serie action degli Expendables (I Mercenari). Peccato che nel primo episodio la traduzione italiana fosse stata “Aspetto fuori.”

E poi, di tutte le saghe cinematografiche dove ha recitato l'ex governatore della California Arnold Schwarzenegger, solo in questa ha mantenuto la promessa (disattesa invece fino ad ora sia in Predator che in Conan) tornando addirittura come Terminator invecchiato.

In questa saga cinematografica si mescolano due temi poi ripresi da tanti altri film: il dominio delle macchine sull'uomo e i viaggi nel tempo. Non ditemi che non avete mai pensato ad un mash up tra Matrix e Terminator, o che ad un certo punto non vi è venuta la curiosità di capire se James Cole (quello delle 12 scimmie) o Marty McFly nei loro andirivieni temporali non si siano mai incrociati con qualche cyborg assassino.

Inoltre, proprio questo franchising è uno dei pochi ad aver avuto anche una espansione televisiva nella serie The Sarah Connor Chronicles. Ma un po' le vicissitudini personali di Schwarzenegger, un po' quelle riguardanti i diritti dei personaggi, hanno determinato un andamento altalenante fino a raffreddare di molto gli entusiasmi riguardo le vicende di John Connor e della resistenza contro le macchine dominanti, specialmente dopo l'ultimo film.

I primi due episodi restano i migliori, il primo perché fa del Terminator modello T 800/101 una macchina micidiale, affascinante nella sua crudeltà tanto da preparare il campo alla sua riprogrammazione da sicario a protettore nel secondo capitolo della saga.

I due film portano la firma di James Cameron e possono essere considerati le due parti di una sola storia. Il finale aperto del secondo, con un retrogusto di speranza perfino nel duro volto della Sarah Connor di Linda Hamilton potrebbe considerarsi una ottima chiusura del tutto.

I'll be back.
I'll be back.

Il terzo episodio inizia a traballare, via Linda Hamilton, dentro una Terminator femmina bellissima e sempre più letale dei precedenti, facciamo i conti con un John Connor messia riluttante, affetto da una sindrome da stress pre-traumatico visto che ha gli incubi per una apocalisse di cui la defunta madre gli ha imbottito il cervello anche se non è mai avvenuta nella linea temporale che descrive il film. Il T800/101 di Schwarzenegger c'è anche qui ma il finale è amaro, perché Skynet (la coscienza cibernetica collettiva) fa partire l'apocalisse nucleare e quindi John Connor accetta il proprio ruolo di capo della resistenza umana.

E poi Schwarzenegger entra in politica.

Quindi l'episodio seguente sposta la narrazione nella guerra futura (anno 2018!), mettendo insieme Christian Bale/John Connor e Sam Worthington nella parte di Marcus, un cyborg senza sigla creato per infiltrarsi nella resistenza ma capace di autodeterminazione tanto da sacrificarsi per mantenere in vita John Connor e permettere la salvezza di Kyle Reese, il padre di John.

Troppi cambiamenti, troppi pasticciamenti con le linee temporali e il film non riscuote il successo sperato nonostante l'interesse per il franchising sia tenuto alto dalla serie televisiva The Sarah Connor Chronicles, dove seguiamo la crescita del futuro messia riluttante protetto da una Terminatrix interpretata da Summer Glau e addestrato dalla Sarah Connor interpretata da Lena Hadley.

La serie si incarta specialmente sulla seconda stagione a causa dei turbamenti sentimentali di John combattuto tra il transfert sulla sua terminatrix e un giovane amore portato indietro dal tempo, gli ascolti calano e la serie chiude. Ma ci lascia comunque una buona caratterizzazione di Sarah Connor, che anche se non raggiunge il duro nerbo ammantato di femminilità della Hamilton avrebbe forse meritato di più. Magari un tentativo di cast per l'episodio cinematografico che ha visto il rientro in pista del T 800/101 di Arnold.

Invece Terminator Genisys decide di essere “originale” proponendoci ancora una volta la Grande Idea che piace tanto ai registi che riprendono in mano serie iconiche della fantascienza ovvero: “rivediamo il primo film e facciamolo uguale ma diverso”, quindi approfittando delle nuove risorse in effetti speciali ci fa rivivere alcune sequenze del primo cercando di infilarci in mezzo nuove linee temporali oltre a decidere di operare un recasting e, pur pescando tra le attrici di Game of Thrones (nel frattempo Lena Hadley ci sta regalando una Cersei immensa) sceglie Emilia Clarke, ovvero il faccino più bamboleggiante della serie, con un fisico minuto e per niente in linea con le altre Sarah Connor nonché una lieve tendenza alla monoespressione imbronciata-occhioni-sgranati.

Eppure il regista, Alan Taylor, aveva nel suo curriculum la direzione di diversi episodi di Game of Thrones (e anche, ehm, di Thor: The Dark World), quindi deve aver visto qualcosa in Emilia che nessuno di noi insensibili è riuscito a cogliere.

Il cattivo dell'episodio è addirittura John Connor, il T 800/101 si upgrada a T 1000 invece che fondersi e tutto viene progettato (nelle intenzioni dei produttori che continuano a rimpallarsi i diritti) per il reboot (altra piaga del cinema recente) di una nuova trilogia.

Ma per fortuna il pubblico non ci casca, e, pur applaudendo e asciugandosi una lacrimuccia per l'interpretazione di Schwarzenegger, il passaparola è negativo, mettendo in ghiacciaia progetti e cyborg.

Pasticciare con le linee temporali cercando di spiegarne la coerenza in un film d'azione è qualcosa che dovrebbe far tremare i polsi a qualsiasi sceneggiatore e non essere affrontato con faciloneria invocando linee temporali alternative, multiversi e cose del genere perché ci sono intere generazioni di nerd cresciute a pane e comics dove trucchetti del genere sono stati ampiamente usati e supersfruttati quasi sempre per coprire la confusione mentale degli scrittori stessi.

Quando uscii dalla visione di Genisys avevo negli occhi sempre e solo una scena: quella di Schwarzi che si fonde nel metallo alla fine del secondo film, con il pollice alzato alla Fonzie e la sua frase feticcio: “I'll be back.”.