La mia vita all’università è stata per la maggior parte piacevole ed emozionante, anche se a volte piuttosto triste perché ero cronicamente a corto di soldi e dovevo spesso ricorrere a espedienti poco dignitosi.

Durante il primo semestre ho lavorato nella casa di Hamilton Wolf, un artista associato alla scuola di Belle Arti della California, dove avevo vitto e alloggio in cambio di quattro ore giornaliere di lavori domestici. I Wolf erano brave persone, ma col tempo quelle quattro ore al giorno sono diventate un fardello oneroso; nel secondo semestre ho trovato alloggio nel seminterrato di un’associazione studentesca, dove cucinavo e facevo lavori saltuari. In autunno, poco dopo la fine dell’estate, avevo raggranellato abbastanza soldi per affittare una stanza vicino al campus. In cambio dei pasti preparavo da mangiare in una confraternita.

All’inizio del semestre avevo scelto fisica come materia principale. Le mie lezioni includevano fisica, matematica, tedesco, geologia e un corso obbligatorio di inglese. Dopo circa un mese ho deciso di cambiare, forse per ragioni futili; trovavo i miei compagni di classe annoiati a morte e anche un po’ stanchi. Devo dire che avevo iniziato l’università non per garantirmi un’istruzione, né in previsione di una carriera futura, ma per ragioni più o meno sociali. Non mi immaginavo come il tipico ragazzo del college degli anni Venti, con il cappotto di procione, che suonava l’ukulele ed era pronto a ballare il charleston in qualsiasi occasione; eppure qualcosa di quelle idee mi frullava per la testa. In ogni caso ho cambiato la specializzazione, prima in inglese, poi in giornalismo, non perché avessi deciso di diventare reporter, ma perché ero entrato nello staff del quotidiano studentesco The Daily Californian, che a quel tempo era diventato il centro della mia esistenza.

Gli uffici del Daily Cal occupavano il piano inferiore della Eshleman Hall, dalla parte opposta dello spiazzo interno rispetto alla Student Union. Come specializzando in giornalismo, avevo diritto a un impiego in seno al dipartimento. Il lavoro richiedeva poco tempo e mi faceva guadagnare 60 dollari al mese. Non descriverò il lavoro necessario per produrre un giornale universitario, ma mi limito a dire che è complicato quasi come pubblicare un vero giornale e che il personale studentesco era (e probabilmente lo è ancora) pieno di talento, appassionato ed efficiente.

L’organizzazione del personale era semplice: gli anziani erano i redattori e gli junior i giornalisti, coadiuvati dagli studenti del secondo anno e dalle matricole addette al lavoro sporco.

In quel periodo c’era una studentessa junior di nome Marjorie Higgins che, in seguito, è diventata una famosa corrispondente di guerra ed è stata paracadutata da qualche parte nel Pacifico. Nello staff c’era anche una studentessa del secondo anno, Anita Whistler, diventata anch’essa corrispondente di guerra; purtroppo il suo velivolo è stato abbattuto nel cielo della Cambogia. Tra gli studenti del secondo anno c’erano anche due persone con le quali avrei avuto una lunga relazione. La prima era Anne Pickering, meglio conosciuta come “Pick”, figlia di un editore di una rivista nautica; il secondo era John West, nativo di Berkeley.

Il padre di John era un agente immobiliare che aveva appena acquistato una vecchia casa vittoriana piuttosto grande e che, in teoria, avrebbe dovuto essere demolita per far posto a nuove costruzioni. Così John, mio ​​fratello David ed io abbiamo iniziato a smantellarla, facendo attenzione a conservare i pannelli di noce e le travi di quercia nera. John mi credeva un effeminato buontempone amante della birra, ma è rimasto sorpreso scoprendo che ero anche un lavoratore.

Durante quel primo semestre sono entrato a far parte di un gruppo – troppo informale e inconsistente per essere chiamato congrega – che, oltre a me, comprendeva altri tre frequentatori dell’ufficio del Daily Cal: Don Matthews, Jim Tierney e Jerry Edelstein. Avevamo in comune le stesse inclinazioni, che potrebbero essere definite più facilmente con il termine generale “baldoria”. Tra queste c’era la birra, la musica jazz e le “feste del personale” che si svolgevano in un sito isolato sulle colline a est della città. Oltre a bere birra, cantavamo canzoni studentesche e facevamo ogni sorta di goliardate. Rispetto agli standard odierni, i nostri erano scherzi innocui e molto divertenti; c’era un grande spirito di cameratismo.

A metà del secondo semestre un giovane di grande entusiasmo si è presentato nell’ufficio del Daily Cal. Si chiamava Samuel Hayman Wainwright III; era magro, con capelli bruni, viso stretto, tratti aquilini, occhi scuri brillanti, e sprizzava energia da tutti i pori.

Era venuto al Daily Cal per farsi pubblicità. Aveva organizzato il Thumbwaggers’ Club che aveva lo scopo di facilitare gli autostoppisti nei loro viaggi a destra e a manca. Aveva posato sulla scrivania una maglietta dov’era disegnato un pugno nero con il pollice alzato nel segno universale dell’autostoppista, e spiegato che stava organizzando un evento nella speranza di suscitare l’interesse del pubblico verso l’associazione e anche far diventare quella T-shirt la divisa ufficiale degli autostoppisti. Ci sarebbero state due squadre di due persone ciascuna; sarebbero andati con l’autostop da Berkeley fino a Salt Lake City e poi ritornati a Berkeley, il tutto in un fine settimana.

I giornalisti junior sono venuti a intervistare Sam e hanno scritto il pezzo, così Sam avrebbe avuto la pubblicità che desiderava. L’articolo è stato pubblicato il giorno successivo, con i nomi di coloro che avrebbero partecipato all’impresa. Era mercoledì. Giovedì, il giorno prima dell’evento, Sam ci ha informato che un membro della seconda squadra si era ritirato dal progetto. Sam era molto turbato. Così si è guardato in giro e alla fine ha puntato gli occhi su di me, dicendo: “Jack, perché non diventi un Thumbwagger, almeno per quest’occasione?”

Ho pensato tra me e me: Jack, ancora una volta i numi della fortuna ti hanno dato una pacca sulla spalla. Così ho accettato la proposta di Sam.

Alle cinque del pomeriggio seguente ci siamo incontrati nella parte bassa della University Avenue, indossando tutti e quattro la T-shirt Thumbwaggers. Sam e il suo compagno sono stati i primi a partire: nel giro di cinque minuti avevano trovato un passaggio. Io e il mio compagno, un simpaticone di nome Bob Wylder, ci siamo messi in posizione; poco dopo anche noi siamo stati caricati e proprio da un uomo che aveva letto l’articolo sui Thumbwaggers. La strategia di Sam aveva dato i suoi frutti!