S.O.S. Soniche Oblique Strategie è il titolo di una raccolta di racconti che è un po’ di più di quanto appaia. È un esperimento complesso che Mario Gazzola, connettivista di antica data, ha confezionato per i tipi di Arcana Editrice e che, nel dettaglio, risulta appunto essere un progetto molto ambizioso e articolato.

In sostanza, Mario è partito da una sorta di gioco di ruolo che Brian Eno s’inventò al tempo della registrazione di Outside, uno dei dischi miliari di David Bowie, che nel ’95 spiazzò ancora una volta il suo pubblico con sonorità prossime al cyberpunk nonché all’industrial, melodie dissonanti ottenute scuotendo la creatività che era innata in lui e che fu abilmente indirizzata proprio da Eno.

Fu quindi Brian, l’abile produttore e creatore di generi, che escogitò per i musicisti coinvolti nel progetto un gioco in cui ognuno di loro doveva immedesimarsi in un personaggio letterario diverso e suonare di conseguenza, seguendo proprio le specifiche che gli aveva fornito. Pare che al termine dell’esperimento si fossero registrate così tante ore d’improvvisazione da riempire almeno altri cinque dischi, cosa di cui però non se ne fece nulla e che ora probabilmente giacciono in chissà quale scantinato delle case discografiche. Ed è qui che Gazzola s’innesta: espandere il gioco metaletterario e musicale e generare una sorta di creazione di mondi alternativi, musicali e al contempo letterari, in un’esplosione frattale di creatività intrecciata da otto autori; otto deliranti scrittori che hanno accettato di buon grado la sperimentazione di Gazzola e che, da bravo cerimoniere, si è offerto di fare da trait d’union tra il concept stesso e gli altri partecipanti all’antologia; è lui, infatti, a tessere la fioritura frattale dei contenuti in cui gli ospiti si contaminano a vicenda con suggestioni che fanno la spola tra il cyberpunk, l’acidume più spinto, la deriva postumana e le inevitabili droghe da stordimento dello sprawl per dimenticare la perdita dell’umanità subita. Su tutto, domina l’immensa passione per la musica che ogni autore coinvolto coltiva e dimostra, spingendo alcuni di loro oltre la passione stessa fino a immergersi nelle trascendenze dei suoni, divellendo ogni barriera sonica e psichica e lasciandosi trascinare dall’anima inumana della musica stessa.

Ma chi sono questi eroi? Oltre al già citato Mario, gli hanno fatto compagnia scrittori del calibro di Lukha B. Kremo, Claudia Salvatori, Danilo Arona, Giovanni De Matteo, Ernesto Assante, Maurizio Marsico, Andrea Carlo Cappi.

Queste sono le note che descrivono copiosamente – male necessario per comprendere bene lo spirito dell’opera – la raccolta di racconti a tema:

Ho pensato fin dal primo momento che questo romanzo-antologia fosse un’idea geniale commenta Andrea Carlo Cappi la sua partecipazione all’antologia. Per il mio racconto ho dovuto aspettare gli incubi giusti, indotti dal Black Absynthe, superalcolico che forse dopo questa mia affermazione cesserà d’ora in poi di essere legale.

Il racconto che Cappi ha completato grazie alle letali libagioni etiliche è Pittore di Sfondi Sonori, uno dei sette che si dipartono come improvvisazioni solistiche jazz rock dal tema guida, ossia Lastre di Ghiaccio Atonali, il racconto firmato dal curatore dell’antologia Mario Gazzola, che funge da spina dorsale all’intero progetto, riproducendo a livello narrativo il gioco di ruolo dalle cui carte partono tutte le otto storie.

Il plot

Come durante le reali session di registrazione dell’album Outside di David Bowie (di cui leggete sul saggio FantaRock), anche all’inizio di S.O.S – Soniche Oblique Strategie troviamo un produttore-guru dai modi affabili quanto enigmatici, dall’emblematico nome di Brain One, che ha convocato in studio un team di musicisti che in passato hanno tutti suonato nei dischi di un cantante definito semplicemente “il Biondo”, ormai scomparso da anni e da tutti rimpianto. Questa dream band è chiamata ad accompagnare una misteriosa nuova promessa del rock futuro di nome Jack, che però nessuno conosce e in studio non è presente.

In attesa d’incontrarlo, il produttore spinge i musicisti ad improvvisare perché le stesse canzoni dell’album da registrare non sono ancora pronte e anzi proprio dalle loro jam dovranno prendere forma. Ma, da semplici giochi come immaginare d’essere personaggi di famosi racconti letterari incentrati sulla musica (da Lovecraft a George R.R. Martin, per esempio), o membri di band immaginarie come i “Dark Side of the Bad Moon Rising” o i “Riders of the Deep Purple Storm”, le improvvisazioni collettive spingeranno i musicisti sempre più lontano in stati di trance estatica, in cui percorreranno  i cammini sonori più sperimentali e siderali, perdendo progressivamente il senso della realtà e si troveranno testimoni di fenomeni inspiegabili e strane apparizioni.

Saranno frutto di qualche nuova droga come il Dreamwater o forse il produttore sta inseguendo un suo oscuro disegno attraverso una sorta di occultismo musicale? 

Le penne

Da questo impianto si dipartono i racconti degli altri sette autori, che hanno sviluppato in piena libertà uno dei personaggi del gioco di Brian Eno: Un Musicista ad Asteroid di Lukha B. Kremo (“un viaggio spaziale sonoro sia interiore che sensoriale, in cui i personaggi sono artefici e vittime della propria musica”), Una delle nuove band neoscience e il Dreamwater, che ha consentito a Claudia Salvatori “di sperimentare in mondi nuovi e di mettere in scena la rockstar come una delle ultime manifestazioni viventi del sacro”; Mad Machinery Possession (in un sex club nordafricano) di Danilo Arona, che trova che “l’ibridazione Gazzola/Arona spacca alla grande”; Un Grande del Crack Rhythm a Lagos di Giovanni De Matteo (“una jam session di scrittura combinatoria: un naufragio nell’inconscio musicale del nuovo millennio”), L’architetto del Modus Operandi di Ernesto Assante e Nuvole di parole astratte colorate di Maurizio Marsico, che si è ispirato a Joyce, Burroughs e all’antipsichiatria di Laing per dar forma a una visione nonsense, “la forma verbale più musicale immaginabile”.

In questo fantasmagorico scenario la verve connettivista di Mario si è esaltata, facendolo sbizzarrire in gustosi richiami e citazioni degli stessi autori antologici in cui traspare un metamondo musicale coeso, connesso, figlio proprio di quella ricerca della trascendenza che va oltre l’amore per la musica. Gli scrittori – solo alcuni sono dei connettivisti – sono stati eccezionali e stabilire quali di loro eccellono sugli altri diventa una pura questione di gusto personale; gli stessi universi narrativi che alcuni hanno creato nella personale visione autoriale si sono ben integrati con le specifiche del progetto, e tutto appare come una bellissima panoplia narrativa in cui si è lieti di scoprire che il cyberpunk non è mai morto, come non lo è la psichedelia e la forma di delirio più prossima al concetto di sintetico, che il futuro postumano ci promette da sempre; né lo stesso universo occulto sembra sfuggire, ovviamente, alle maglie della malia sonora, e tutto s’integra con un carapace emotivo e interiore che cresce e affascina per l’ordito che ne deriva.

S.O.S. è come un concept album, una sorta di The Wall o di Tommy – o di Outside, come effettivamente dovrebbe essere – suonato in parole che diventano immagini, poi concetti, poi trascendenze per tornare infine alle variazioni da cui son partite, aumentate di una valenza cognitiva prima sconosciuta.

Il limite di quest’operazione è che non dovrebbe averne; ma quello è il limite intrinseco della parola, non certo della musica o delle immagini. Ed è forse per questo motivo che Eno ha concepito all’epoca il gioco come un piccolo divertissement che non poteva travalicare la musica, che poi non ha più perseguito perché abituato ai voli pindarici dell’arte musicale. Ai bibliofili, agli amanti della parola, a coloro che non hanno bisogno di strumenti per suonare la propria armonia, il concetto regala però fascino a dismisura, e una volta accordate le sinapsi e le vibrazioni interiori, è possibile sentir suonare ogni singolo strumento come una risonanza di parole riverberate in un abisso nidificato, in un detonante concerto empatico, in una trascendenza di parole che imita quella musicale, una scala più giù.

In parole semplificate – lo so, le parole sono già delle semplificazioni – tutta l’antologia suona come una magnifica opera musicale di suoni, che sono le parole stesse. Non fate che rimangano lettera morta dal libraio o peggio, sul vostro comodino.