Quando ci giunse la notizia della morte del padre, io avevo cambiato incarico da pochi mesi: ero passato dalle serre idroponiche al lavoro di guardiano nell'archivio centrale. Ero stato molto fortunato, e vi confesso che avevo un po' brigato per ottenere quel posto. Quando si raggiunge una certa età, è normale essere spostati su ruoli più sedentari, ma quello era un posto ambito e una grande fortuna; c'era infatti la possibilità di sbirciare su documenti di prima mano della nostra storia.

Il padre era morto sfinito di stanchezza e la madre se l'era divorato. Pace! Rientrava nell'ordine naturale delle cose.

Francamente, quel che speravo di più, era che questo evento interferisse il meno possibile con il mio nuovo incarico. Per me era un passo importante, speravo di lì a qualche anno di entrare nell'élite dei Custodi come mi sarebbe naturalmente toccato in base alla progressione dell'età se non si fossero verificati fatti particolari.

Ricordo che finito il mio turno andai a sdraiarmi nel mio cubicolo e mi misi a pensare. Adesso i Custodi avrebbero dovuto organizzare una selezione per scegliere il nuovo padre. Io ero quasi al limite di età e quindi – pensavo – le mie probabilità di essere scartato subito o quasi subito, e di potermene tornare alle mie normali incombenze, erano molto buone.

In effetti, la faccenda della selezione per la scelta del nuovo padre, la trovavo una seccatura che speravo finisse in fretta, una distrazione dal mio nuovo lavoro di guardiano dell'archivio, di cui non sentivo nessuna necessità.

Mi stavo appassionando da quando avevo cominciato a fare una cosa che forse nessuno faceva più da secoli: esaminare, leggere, vedere quei vecchi documenti, quelle vecchie registrazioni, quegli antichi video alla ricerca di risposte a una serie di domande che mi ero sempre fatto sulle nostre origini, sulla nostra natura, su noi stessi.

Come vi ho detto, avevo assunto l'incarico di archivista da pochi mesi, avevo brigato per ottenere quel posto e mi ero buttato nel lavoro con entusiasmo. Io capisco quanto una cosa del genere può sembrare strana; di solito da un guardiano dell'archivio nessuno si aspetta che faccia niente se non vigilare su quei vecchi computer tenuti sotto chiave, faccia in modo che non subiscano danni, e se qualcuno li vuole consultare, cosa che non capita praticamente mai, lo faccia rispettando le dovute procedure.

Io invece quegli antichi documenti in essi contenuti avevo intenzione di leggerli. Non lo so, sarà un fatto di carattere: fin da piccolo sono stato portato a farmi domande che agli altri non sembravano nemmeno passare per la testa: chi siamo, cosa ci stiamo a fare a questo mondo, come si è evoluta la nostra specie e le altre che popolano i cunicoli e le gallerie, se c'è vita sulla superficie, e via dicendo. Tutte curiosità che mi etichettano come un inguaribile sognatore e che ho sempre cercato, per quanto possibile, di tenere nascoste in modo da non attirare l'attenzione sulla mia diversità rispetto agli altri membri della comunità. Ora queste mie curiosità avevo modo di soddisfarle, e senza dare nell'occhio.

Il giorno stesso in cui ricevetti l'archivio dal mio predecessore, feci una scoperta sorprendente: oltre alle registrazioni su computer c'era dell'altro. All'ultimo livello, quello più in basso, c'era qualcosa d'altro oltre alle registrazioni computerizzate: un gran numero di documenti cartacei, quelli che una volta erano chiamati libri, riviste, giornali, che erano stati sottoposti a un trattamento di plastificazione che li aveva resi indistruttibili. Solo l'idea di poter toccare con mano queste tracce del nostro lontano passato mi procurò un'emozione fortissima.

Il mio lavoro consisteva nel proteggere l'archivio da eventuali intrusioni e nel rispondere a richieste di informazioni. Entrambe le eventualità erano diventate sempre più rare, non si verificavano da decenni, e così avevo tantissimo tempo libero per visionare l'antico materiale affidato alla mia custodia.

Bastò visionare qualcuno di quegli antichi fotogrammi microfilmati e sfogliare qualcuna di quelle antiche pagine per rimanere sbalordito: quello che si dipingeva davanti ai miei occhi era un mondo incredibile fatto di spazi immensi dove non si vedevano, non c'erano pareti di fondo. Sotto un cielo di una bellissima tonalità azzurra ogni tanto interrotta da chiazze biancastre che si chiamavano nubi o nuvole, mi pare, il terreno si stendeva a perdita d'occhio, a volte coperto da grandi estensioni di vegetazione spontanea che a seconda del tipo di piante venivano chiamate boschi, foreste, praterie, tundre. C'erano anche grandi estensioni di piante coltivate: campi, orti, frutteti.

In tutti questi ambienti c'era un gran numero di animali di ogni forma e dimensione che correvano, saltavano, volavano, strisciavano.