Alexandre Leroux era nato su Ceti VII. Il pianeta, dopo il terraforming si era rivelato molto fertile e si era sviluppato come un mondo agricolo, che produceva un'abbondanza di grano, mais, viti, frutta, legumi che venivano esportati in ogni angolo della Galassia.
Fare l'agricoltore non era più da secoli il lavoro massacrante e la condizione disagiata che era stato perlopiù in epoche remote nella vecchia Terra: l'agricoltura era un'attività razionale, efficiente, largamente meccanizzata. Peccato che Alexandre non provasse per essa un grande interesse.
La sua famiglia discendeva da un ceppo di vignaioli francesi e si era trapiantata su Ceti VII dove aveva fondato un'azienda vinicola di discreto successo. Alex tuttavia delle volte provava quasi un senso di fastidio quando, guardando fuori dalla sua finestra scorgeva l'uniforme panorama cetiano composto dai riquadri regolari dei campi di grano che si alternavano ad altrettanto regolari vigneti, gli uni e gli altri interrotti solo da strade così dritte che sembravano tracciate con la squadra.
Il paesaggio era piatto, interrotto solo verso ovest da alcune basse colline che digradavano morbide e i cui fianchi erano intensamente coltivati a frutteti. Nella stessa direzione ma più vicino, a un paio di miglia dalla casa e dal villaggio, ma che risultava difficile individuare perché le sue sponde erano basse, c'era un piccolo lago, dove Alex andava a pescare o nuotare, talvolta da solo ma più spesso in compagnia di altri ragazzi del paese durante le vacanze estive o i week end.
L'asse del pianeta, del resto, presentava una scarsa inclinazione rispetto all'eclittica, e le variazioni stagionali erano molto blande. Piaceri da adolescenti a cui avrebbe rinunciato senza fatica e certo non con sofferenza.
In un'epoca in cui era stata inventata la propulsione a distorsione spazio-temporale e l'umanità si stava espandendo per il cosmo, Alex Leroux trovava assurda l'idea che un uomo trascorresse tutta la vita coi piedi sempre piantati su suolo dello stesso pianeta come un albero che affonda le radici nel terreno, quando c'era tutto l'universo da esplorare e da conoscere.
Aveva studiato con impegno, conseguendo il brevetto in astrofisica e la specializzazione in astronavigazione diplomandosi con un punteggio brillante, poi aveva presentato domanda d'imbarco come pilota a diverse compagnie di Ceti VIII, ma per molto tempo non aveva avuto risposta.
Ceti VIII era il pianeta gemello di Ceti VII. Posto in un'orbita più esterna e con un clima più rigido, scarsamente adatto all'agricoltura, ospitava soprattutto industrie e imprese commerciali, fra cui diverse compagnie di navigazione interstellare e interplanetaria. Certo, Alex lo sapeva, i posti di pilota interstellare erano molto ambiti, e aveva finito per rassegnarsi all'idea di impiegarsi nell'azienda di famiglia.
Un giorno, tornando da un controllo ai vigneti, trovò sul computer un messaggio di una compagnia di Ceti VIII, che gli diceva di presentarsi entro dieci giorni se era disponibile per un imbarco immediato. Il nome della compagnia, la Intersolar Shipping, non gli diceva nulla, non doveva essere una delle più grosse.
Salutò i genitori e i fratelli, promise che sarebbe tornato a casa o si sarebbe messo in contatto tutte le volte che gli fosse stato possibile (ma non era sicuro di mantenere l'impegno) poi si recò ad acquistare un biglietto per 'astronave-traghetto per Ceti VIII.
- Così lei è Alexander Leroux.
- Alexandre, se non le dispiace – replicò Alex.
- Oh, beh, è lo stesso.
Il capitano Henlon dell'Intersolar Shipping era un uomo alto e robusto, dal volto rubizzo e un'età approssimativamente fra i quaranta e i cinquant'anni.
A quanto pareva, la Intersolar Shipping era una compagnia molto più piccola di quel che Alex si era immaginato, possedeva una sola nave, la Chattanooga, di cui Henlon era l'armatore e il capitano, – master and commander.
- Ho visto il suo curriculum -, disse. – E quelli di molti altri. Il posto è suo.
- Tenga presente – obiettò Alex – che sarei al mio primo imbarco.
- Da qualche parte – rispose Henlon – bisogna pur cominciare.
- Vuole dire che sono assunto in prova.
- No, che è assunto e basta.
Ad Alex non piacque, aveva avuto l'impressione che la cosa fosse stata troppo facile.
La Chattanooga era una nave da carico di aspetto non troppo attraente, che faceva la spola trasportando merci tra i pianeti e i sistemi solari. L'equipaggio era ridotto al minimo: c'erano Henry Henlon, armatore e capitano, Hugh Willis primo ufficiale e medico di bordo, Manuel Mendoza, secondo ufficiale e tecnico dei sistemi informatici mobili (in pratica colui che manovrava e controllava i robot, – l'equipaggio elettronico – della nave), Wu Ching Mei, terzo ufficiale e cuoco.
Con Alex erano al completo. I primi quattro erano soci (gli unici soci) della Intersolar Shipping. Alex no, era un dipendente con un contratto annuale valido per 365 giorni terrestri standard. Trascorso l'anno si sarebbe visto se rinnovare il contratto, lasciarlo andare o prenderlo come socio.
Per Alex iniziò un periodo molto meno esaltante di quel che aveva immaginato. La sua responsabilità non era da poco: se avesse sbagliato qualcosa nei calcoli della distorsione spazio-temporale, la Chattanooga sarebbe finita chissà dove, magari all'interno di una rovente fornace stellare, ma a parte questo, era una routine persino noiosa. La nave atterrava su un astroporto, i robot scaricavano le grandi casse e container nella stiva, ne caricavano altre, si accendevano i motori e si ripartiva.
L'occasione di vedere da vicino pianeti alieni non gli si presentò praticamente mai. Le soste più lunghe la nave le faceva su Ceti VIII dove si fermava per revisioni e riparazioni. Lì faceva freddo, il cielo era quasi sempre grigio come l'astroporto, e pioveva spesso. Alex si accorse che cominciava a provare una nostalgia sempre più forte per Ceti VII, per i suoi cieli azzurri, per i suoi prati verdi.
In più di un caso, Alex aveva avuto la sensazione che almeno alcuni dei commerci a cui si dedicava la Chattanooga non fossero proprio legali, quando la nave atterrava in aree sperdute di certi pianeti, evitava di mandare segnali radio e schivava i controlli doganali, ma si rendeva conto che era meglio non fare troppe domande.
- Pazienza – si diceva. – Un anno e me ne torno a casa.
La prospettiva di passare il resto della vita fra campi e vigneti, ora non gli sembrava più tanto spiacevole.
Alexandre era alla finestra dell'alloggio su Ceti VIII e stava contemplando con tristezza la pioggia che scendeva giù dal cielo grigiastro, quando entrò il capitano Henlon con un'espressione ilare stampata sul volto.
- Abbiamo un nuovo ingaggio – disse – due passeggeri più carico, e pagano piuttosto bene.
Passeggeri sulla Chattanooga era una cosa alquanto insolita, anche se c'erano un paio di cabine libere oltre a quelle per l'equipaggio. Di solito i passeggeri paganti preferivano le compagnie di linea, ma Henlon non era mai tipo da rifiutare un affare quando se ne presentava l'occasione.
- Chi sono? – domandò Alex.
- Un professore e sua figlia, che è anche la sua assistente. Vogliono andare a Gamma Procionis. Ne sai qualcosa.
Alex scosse il capo.
Si mise al computer e fece una breve ricerca sul catalogo stellare.
- Questo è strano – disse. – Lì non c'è niente. Gamma Procionis è solo una stella di neutroni.
Una stella di neutroni è il relitto di una stella morta. Quando una di esse ha bruciato nella sua fornace tutta la sua riserva di idrogeno, collassa su se stessa diventando una nova o una supernova a seconda della sua massa, consumando in una breve e violentissima fiammata l'elio residuo. Nel primo caso, ciò che rimane è una stella di neutroni dove la massa è concentrata in uno spazio piccolissimo, e un cucchiaio di materia pesa diverse tonnellate. Nell'altro caso, la massa è così concentrata da sfondare letteralmente il tessuto dello spazio e formare un buco nero. Da un buco nero nulla può uscire, nemmeno la luce, perché la velocità di fuga è superiore a quella della luce stessa.
- Cosa vorrà farci -, commentò Henlon. – Questo professore nelle vicinanze di una stella di neutroni, non so proprio immaginarmelo, ricerche, probabilmente. Comunque, basta che paghi, lui o l'ateneo.
Alex incontrò Manuel Mendoza che stava manovrando i robot che caricavano nella pancia della Chattanooga una serie di casse.
- L'amico -, disse Manuel dopo averlo salutato con un breve cenno, – ne ha di materiale con sé. Credo siano tutte o quasi, strumentazioni scientifiche.
Manuel Mendoza era di poco più anziano di Alex, ma i due non avevano legato molto. Alex preferiva tenersi sulle sue nell'attesa della fine di quell'ingaggio de quale voleva liberarsi appena possibile.
In quel momento arrivò il professor English, un uomo anziano dai capelli bianchi, alto e piuttosto corpulento.
- Attenzione -, stava dicendo, – sono apparecchiature delicate e costose.
Il professore si spostò lateralmente di un passo, lasciando scorgere la figura più esile che era alle sue spalle.
Alex si ritrovò di colpo a fissare la ragazza più graziosa che avesse mai visto, la figlia del professor English. Alex sapeva dai documenti d’imbarco che si chiamava Diana, aveva una figuretta snella con tutte le rotondità al posto giusto, un viso grazioso con gli occhi grandi e gli zigomi pronunciati, una cascata di capelli biondi che le scendeva fino alla schiena, uno sguardo dolce e intenso.
Alex avrebbe voluto dirle qualcosa di carino, ma in quel momento si sentì terribilmente impacciato.
- Buon giorno – gli riuscì infine di mormorare. – Io sono Alexandre, Alexandre Leroux.
- Piacere – rispose lei – Diana, Diana English.
Alex sentì una sensazione di calore che era sicuro si stesse manifestando all’esterno come rossore, salirgli dalle guance fin verso la punta delle orecchie.
Era indeciso su come proseguire o troncare la conversazione, quando Manuel Mendoza gli disse:
- Leroux, vieni, bisogna controllare la rotta.
Alex era in bagno e si stava lavando le mani, quando udì la porta che si apriva dietro di lui. Vide la sagoma massiccia del professor English alle sue spalle inquadrata nello specchio. Per un attimo rimase interdetto a osservare l'acqua che scorreva nello scarico per essere poi catturata dal sistema di riciclaggio della nave.
- Lo sa -, disse il professore alle sue spalle, – che sta osservando un modello di galassia? Si è mai chiesto perché le galassie hanno una forma a spirale.
Alex non ne aveva idea.
- Perché sono dei gorghi, ecco perché -, concluse il professore.
Mentre il professor English si allontanava, Alex scosse la testa: il padre di Diana era certamente un originale.
Nelle astronavi di linea, come del resto nelle navi planetarie che percorrevano le acque degli oceani, essere ammessi alla tavola del comandante era una sorta di privilegio, ma sulla Chattanooga, con cinque uomini di equipaggio e due passeggeri, c'era una sola tavola. Il capitano Henlon aveva fatto sedere il professor English alla sua destra e Diana subito accanto a lui, ma Alex che era seduto di fronte a loro, tra Mendoza e Wu Ching Mei, sperava che almeno i due trovassero il pasto decente. Quanto a lui, dopo mesi la cucina di Wu Ching, in quel momento servita da due camerieri robot, gli era venuta a nausea: non ne poteva più di riso alla cantonese, involtini primavera, maiale in agrodolce.
- Professore -, disse il capitano rivolto al suo ospite, – mi scusi se le faccio ritardare il pranzo di qualche minuto, ma visto che siamo tutti riuniti, vorrebbe spiegare a tutti quanti cosa andiamo a fare su Gamma Procionis.
- Voi -, rispose il professore, – avete semplicemente il compito di portare là me, mia figlia, il materiale che mi serve per una serie di esperimenti. Quanto a me, intendo verificare una mia teoria.
- Forse -, replicò Henlon. – Sarebbe meglio se ce ne parlasse. Se sappiamo quel che vuol fare lei, capiremo meglio quel che dobbiamo fare noi.
- Benissimo -, rispose il professor English. – Non si tratta di nulla di segreto, c'è già tutto nelle mie pubblicazioni. Voi sapete, o forse no, che ci sono alcuni problemi nei quali l'astrofisica si dibatte da tantissimo tempo senza arrivare a una soluzione: voi sapete che l'universo si espande e le galassie si allontanano le une dalle altre, tuttavia non c'è nessun reciproco allontanamento delle stelle che formano ciascuna galassia: le galassie rimangono compatte in una misura che non sembra giustificata dall'attrazione gravitazionale della massa visibile di ciascuna di esse. In più, l'allontanamento reciproco delle galassie sta accelerando. Secondo il modello standard generalmente accettato, l'allontanamento dovrebbe essere una conseguenza del Big Bang, l'esplosione iniziale che avrebbe dato origine all'universo, e quindi esso dovrebbe rallentare perché l'impulso dell'esplosione iniziale dovrebbe essere man mano bilanciato dalla gravità. Per spiegare il primo fenomeno, la compattezza delle galassie, si è postulata l'esistenza di una materia oscura non osservabile, e per spiegare il secondo, l'accelerazione del Big Bang, l'esistenza di un'energia oscura non rilevabile, che andrebbe a incrementare l'accelerazione dell'esplosione iniziale. Inutile che vi spieghi, di certo lo sapete già, che in secoli di ricerche non è mai emerso un indizio concreto dell'esistenza dell'una né dell'altra. In realtà queste spiegazioni sono delle vere sciocchezze, la realtà è più semplice anche se forse più tragica. Al centro della Via Lattea, di Andromeda, delle galassie a spirale che conosciamo, si trova un buco nero di enormi dimensioni, e io penso che la stessa cosa valga per tutte le altre. Altro che materia oscura, la massa mancante si trova lì. Le galassie sono immensi gorghi di materia stellare che è risucchiata dai buchi neri giganti. Non è necessario neppure ipotizzare un'energia oscura; semplicemente, man mano che la materia stellare viene risucchiata verso il centro della propria galassia, si allontana a velocità crescente dalle altre.
Fu Alex a porgli la domanda; certamente aveva una cultura scientifica maggiore di quella dei suoi compagni.
- Professore -, chiese, – ma come pensa di studiare tutto questo studiando una stella di neutroni.
- Se la mia teoria è giusta -, rispose il professor English, – nelle vicinanze di un buco nero, anche di quelli ordinari, si dovrebbe verificare un red shift, uno spostamento delle linee dello spettro elettromagnetico verso il rosso, significativamente maggiore che nello spazio ordinario, e la stessa cosa si dovrebbe verificare nei pressi di una stella di neutroni che dopotutto non è che un buco nero abortito.
È una questione di convenienza: le stelle di neutroni sono cartografate assai meglio dei buchi neri che, non emettendo luce né radiazioni, sono assai più difficili da individuare, e i cui dintorni sono assai più pericolosi.
Alex però non ebbe modo di compiacersi a lungo della propria cultura scientifica, arrivò subito il dottor Willis a ricordargli che esisteva anche una cultura di altro tipo, nella quale lui era piuttosto zoppicante.
- Dunque né materia né energia oscura -, disse il medico. – Complimenti, professore. Fra' Guglielmo di Ockham si congratulerebbe con lei per la sua abilità nel maneggiare il rasoio.
Gli esseri umani sono il prodotto dell'abitudine. Molto spesso il solo motivo per cui si faceva una cosa in un certo modo piuttosto che in un altro, era che si era sempre fatto così. La Chattanooga, come la maggior parte delle astronavi, aveva la cabina di pilotaggio nella parte frontale, gli alloggi nella parte superiore, le stive di carico e i motori nella parte inferiore dello scafo.
In realtà non c'era nessun motivo perché dovesse avere proprio quella disposizione e non un'altra, se non per il fatto che essa rifletteva quella delle antiche navi che solcavano gli oceani. Anche il fatto, si chiese fuggevolmente Alex, che l'area delle cabine fosse circondata da un corridoio ad anello che correva tutto attorno proprio sotto il guscio esterno dello scafo, era forse un'eredità del ponte delle vecchie navi.
Alex aveva portato la Chattanooga alla velocità di crociera alla quale poteva attivare la distorsione spazio-temporale (in realtà, come aveva spiegato Einstein, quel che contava non era la velocità, che è sempre relativa a un sistema di riferimento, ma l'accelerazione). In quale punto dello spazio normale la nave sarebbe riemersa, dipendeva esclusivamente dalle coordinate che aveva impostato in precedenza. La traslazione avrebbe richiesto un'ora all'incirca, indipendentemente dalla distanza effettiva nello spazio normale fra i due punti dell'universo fra cui si creava un collegamento.
Per un'ora Alex non avrebbe avuto altro da fare nella cabina di pilotaggio, e così ne aveva approfittato per alzarsi dal posto di guida e sgranchirsi un po' le gambe.
Alla svolta del corridoio incrociò la figuretta esile, il volto grazioso e gli occhioni luminosi di Diana English.
- Salve -, disse lui. – Come va.
- Ciao -, rispose lei. – Per adesso non ho molto da fare e mi annoio un po'.
Cominciarono a parlare. Era strano, venne da pensare ad Alex, come l'imbarazzo che aveva provato la prima volta che l'aveva vista sembrasse ora del tutto svanito.
Lei gli raccontò della sua vita, dell'esperienza di essere cresciuta da un padre vedovo, geniale ma eccentrico, e Alex le raccontò della propria, con una disinvoltura come gli pareva di non aver mai fatto con nessun altro.
- Mah -, commentò lei, – credo che se avessi avuto la fortuna di nascere in un paradiso come Ceti VII, non l'avrei mai abbandonato.
- Hai ragione -, rispose lui, – ed è quello che intendo fare quando sarà passato questo dannato anno. Lo spazio è stato una delusione. Voglio tornare a casa e restarci.
- Ma che diavolo succede -, gridò istintivamente Alex, ma come pilota sarebbe dovuto essere il primo a saperlo.
La Chattanooga si era materializzata nello spazio normale nei pressi di Gamma Procionis; subito dopo, c'era stata una violenta accelerazione in avanti che aveva mandato tutti a gambe all'aria, poi un altrettanto brusco strappo all'indietro che aveva di nuovo atterrato quelli che avevano fatto in tempo a rialzarsi, quindi a nave era rientrata nel grigio ovattato della distorsione spazio-temporale.
Passò un minuto prima che Alex riuscisse a ricostruire la dinamica degli eventi. Appena riemersa nello spazio normale, la Chattanooga era stata attirata da un forte campo gravitazionale. Lui aveva reagito automaticamente, senza pensarci, azionando i retrorazzi e i propulsori direzionali fino a quando la nave aveva riguadagnato abbastanza impulso da poter avviare di nuovo la distorsione.
Avevano rischiato di schiantarsi su qualcosa, e questo qualcosa non era Gamma Procionis che si trovava a parecchie unità astronomiche. Qualcosa di piuttosto grosso: un pianeta o un planetoide. Come mai il radar non aveva segnalato nulla? Ma come aveva fatto a non pensarci! Anche se non aveva 'attrazione gravitazionale di un buco nero, una stella di neutroni come Gamma Procionis aveva sempre la capacità di deformare e rallentare il rimbalzo delle onde radio anche se non riusciva a inghiottirle come avrebbe fatto un buco nero; di conseguenza l'immagine dell'oggetto sullo schermo del radar era apparsa molto più distante di quanto effettivamente non fosse, e non aveva fatto scattare l'allarme. Con ogni probabilità di trattava di un pianeta, un superstite che doveva essere stato uno dei più esterni dello scomparso sistema di Gamma Procionis.
Il quel momento arrivò il capitano Henlon.
- Leroux -, chiese. – Cosa è successo.
- Un pianeta -, rispose Alex. – Né cartografato né segnalato, stavamo per precipitarci contro. L'abbiamo scampata bella.
Il capitano aveva deciso che sarebbe stata opportuna una ricognizione del pianeta fortunosamente scoperto. Dato che l'immagine sul radar risultava sfalsata rispetto ala posizione reale, decise che sarebbe stato meglio non tentare di atterrare con la Chattanooga, ma di inviare la navetta di emergenza.
A bordo c'erano Alex e Mendoza.
Il pianeta non era molto grande, in compenso, Alex notò che aveva un'albedo strana, e quando la navetta si fu avvicinata abbastanza, si rese presto conto del perché: la superficie del pianeta era in gran parte ricoperta, anzi il pianeta stesso sembrava fatto prevalentemente di materiale cristallino.
A pensarci, era logico: quando Gamma Procionis si era trasformata in nova prima di collassare su se stessa per diventare una stella di neutroni, il pianeta doveva essere stato sottoposto a condizioni di temperatura e pressione enormi, le stesse che avevano verosimilmente ingoiato i suoi fratelli più interni.
La navetta si posò sulla superficie, un tratto che appariva innaturalmente liscio.
- Dovremmo raccogliere dei campioni -, osservò Alex.
- Ma ti sei guardato intorno., replicò Mendoza. – Là fuori ci sono cristalli giganteschi, bisognerebbe lavorare col laser per staccarne qualche scaglia, ma non abbiamo un robot adatto.
- Allora dovrebbe andare uno di noi.
- Vai tu -, rispose Mendoza in tono vagamente seccato.
Era una risposta provocatoria perché per logica, in vista di qualsiasi eventualità, non doveva essere il pilota a lasciare la navetta, ma Alex sapeva di essere l'ultimo arrivato dell'equipaggio della Chattanooga e che gli toccava ingoiare. Senza dire nulla, andò a infilarsi la tuta e il casco.
All'aperto, il vuoto spazio che lo circondava gli diede un senso di vertigine. Gamma Procionis non era visibile, era forse un puntolino molto più fioco di stelle enormemente più lontane; eppure era là con la sua massa inalterata e continuava a tenere avvinto il pianeta nel suo laccio gravitazionale.
Impiegò un quarto d'ora per raccogliere una manciata di frammenti: bisognava incidere la superficie cristallina con il laser e letteralmente scavare i frammenti da asportare.
Quando rientrò nella navetta, sbatté la sacca dei campioni su di un ripiano. Si stava sfilando la tuta quando fu richiamato dalla voce di Mendoza.
- Ehi Leroux, ma lo sai cosa sono questi? Diamanti, diamanti grezzi grossi come uova.
La notizia fece rapidamente il giro della nave. Il capitano Henlon era euforico, ma il professor English provvide a smorzare i suoi entusiasmi.
- Un pianeta che in pratica è un'unica immensa miniera di diamanti. Con questo ci sistemiamo, possiamo vivere nel lusso per tutta la vita.
- Non credo – disse il professore – che le cose stiano esattamente così.
- Non capisco -, rispose il capitano.
- Intanto consideri che quando si saprà dell'esistenza di questo pianeta, il valore dei preziosi crollerà di colpo, e poi non basta aver scoperto un pianeta per rivendicarne la proprietà.
- Ma professore – rispose il capitano – lei ci prende proprio per degli ingenui. Terremo segreta l'esistenza di questo pianeta e verremo qui di tanto in tanto a prelevare i diamanti che ci servono, non troppo spesso né troppi in una volta.
Il professor English alzò la voce.
- Questo non lo può fare., gridò. – Prima di tutto è illegale, e poi lei non può privare la scienza della possibilità di studiare un pianeta sopravvissuto all'esplosione in nova della sua stella.
Henlon rispose altrettanto in malo modo:
- Non è lei che dà gli ordini su questa nave.
- Leroux – disse il capitano Henlon – questa è una riunione del Consiglio di Amministrazione della Intersolar Shipping. Vuole per cortesia raggiungere la cabina di pilotaggio.
Quando Alex si fu allontanato, Henlon si rivolse ai suoi soci.
- La situazione la conoscete -, disse. – Da una parte abbiamo una fortuna immensa, dall'altra una testa di cavolo di scienziato che rischia di farci sfumare tutto quanto.
- E allora cosa proponi -, chiese il dottor Willis.
- Questa è una di quelle occasioni che si presentano una volta sola nella vita -, rispose Henlon. – Noi ci siamo accordati con English e sua figlia per portarli sin qui. Non abbiamo preso accordi per il ritorno. Li lasceremo qui e che si arrangino. Forse daremo loro due tute spaziali in modo che possano sopravvivere fino all'esaurimento della riserva di ossigeno invece di morire subito di decompressione, o forse no.
- Questo è omicidio -, protestò il dottore.
- Mi dispiace per la tua delicata coscienza morale – rispose Henlon – ma ti ricordo che non è la prima volta. Ti ricordi cosa abbiamo fatto alla Shamrock e alla banda di O'Brian.
- Non è la stessa cosa -; replicò Willis. – Quelli erano dei farabutti, era questione della loro vita o la nostra.
- È la stessa cosa -, replicò il capitano. – Quando si accetta di vivere nell'illegalità e da essa si traggono la maggior parte dei propri proventi, non ci si ferma a mezza strada. Abbiamo l'occasione di vivere come nababbi, e io non intendo lasciarmela sfuggire. Scaricherò nello spazio chi si oppone: quello stralunato professore, la sua marmocchia e magari, anche se con grande dispiacere, un vecchio amico come te.
Alex, che invece di raggiungere la cabina di pilotaggio, era rimasto a origliare dietro la porta, aveva sentito abbastanza.
Passò a prendere la sacca dei campioni dove erano stivati i diamanti grezzi, poi corse alla cabina del professor English e di sua figlia.
- Presto – disse loro, – Quel pazzo di Henlon vuole buttarvi fuori bordo.
- Dove andiamo – chiese Diana disorientata.
- Alla navetta di emergenza – rispose lui. – Poi si vedrà.
Una corsa affannosa attraverso i corridoi della nave, poi la navetta di emergenza. I tre salirono di corsa la rampa, poi Alex fece scattare l'apertura del portello e i tre si tuffarono a bordo della navetta. Alex chiuse il portello, buttò a sacca in un angolo e si mise ai comandi. Azionò il comando a distanza dell'apertura dell'hangar e la navetta iniziò a muoversi.
- Cosa intendi fare adesso – chiese Diana.
- Anche queste navette sono dotate di propulsione a distorsione spazio-temporale – rispose Alex. – Ce la filiamo, raggiungiamo un luogo civile e un posto di polizia.
- Sei un bravo ragazzo – disse il professore. – E io non sono cieco, ho visto come tu e Diana vi guardavate. Mi fa piacere. Sono certo che sei finito per errore con questa gente, come ha sbagliato l'università a rivolgersi a loro.
Alex non lo stava ascoltando, stava cercando di accelerare al massimo, distanziando quanto più possibile la navetta dalla Chattanooga.
Passarono alcuni minuti che ad Alex parvero un tempo lunghissimo, poi la Chattanooga iniziò a muoversi verso di loro più presto di quel che Alex aveva sperato.
Adesso doveva esserci Mendoza ai comandi della nave. Dovevano essersi accorti ben presto della loro fuga. Non c'era bisogno di fare calcoli o misurazioni, era chiaro che la navetta non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungere l'accelerazione necessaria a innestare la distorsione spazio-temporale prima che la Chattanooga la raggiungesse. Henlon, ne era più che certo, gliela avrebbe fatta pagare cara.
Assorto a fissare il quadro degli strumenti e lo schermo del radar, Alex non si accorse del professor English fino a quando non udì il grido di Diana.
- Papà no, non farlo.
Il professore aveva infilato la tuta spaziale e si era diretto al portello della camera stagna. Nel tempo che Alex impiegò a rendersi conto dell'accaduto, l'anziano docente aveva richiuso alle sue spalle il portello interno e aperto quello esterno della camera stagna. Lo vide sgusciare fuori dalla navetta agitando il braccio in segno di saluto.
La Chattanooga virò dirigendosi verso il professore che, privo di mezzi di propulsione attiva, stava – scivolando – verso Gamma Procionis per effetto dell'attrazione gravitazionale.
Era un gesto eroico ma sciocco, pensò Alex. Il professore aveva deciso di sacrificarsi per dare a sua figlia e a lui una possibilità di salvezza, ma non sarebbe cambiato niente. Un minuto dopo aver catturato lui che andava alla deriva, la Chattanooga avrebbe raggiunto la navetta.
Alex osservò lo schermo del radar incredulo: Gamma Procionis era scomparsa di colpo, eppure era ancora là, doveva essere ancora là perché continuava a far sentire i suoi effetti gravitazionali.
Vide i due puntini del professor English e della Chattanooga praticamente fusi in uno solo, schizzare a velocità folle nella direzione in cui in precedenza si trovava la stella di neutroni.
Realizzò all'improvviso quel che era successo e, come aveva previsto, anche la navetta schizzò in avanti sotto l'impatto di un'accelerazione fortissima.
Ora era questione di secondi, trovare l'attimo giusto, la salvezza o il disastro, come quando si doveva fare una partenza in salita con le vecchie automobili a benzina senza il cambio automatico.
Innestò la distorsione spazio-temporale e la navetta fu di colpo avvolta dal grigio ovattato dell'iperspazio.
Diana gli si avvicinò e gli si strinse addosso.
- Cosa è successo – chiese.
- Tuo padre – disse Alex. – È stato un eroe, col suo sacrificio ci ha salvati.
Alex vide che Diana era diventata rossa in faccia e che faticava a trattenere le lacrime, che infine cominciarono a scorrerle copiose giù per le guance.
Tuttavia tornò a chiedere – Che cosa è successo. con voce che cercava di essere ferma.
- Io credo – rispose Alex – che tuo padre doveva essersi reso conto che Gamma Procionis era molto vicina al limite di massa fra stelle di neutroni e buchi neri e che sarebbe bastato un incremento modesto della sua massa per trasformarla in un buco nero, un aumento magari insignificante, come sarebbe potuto essere quello della massa della Chattanooga o che so, magari anche solo quello del suo stesso corpo. Quando Gamma Procionis è scomparsa dal radar, in realtà era sempre lì, ma la sua attrazione gravitazionale non permetteva più alle radioonde di tornare indietro.
- Allora mio padre è perduto -, chiese ancora Diana.
- Purtroppo si.
- La Chattanooga.
- Anche.
- Il pianeta di diamante.
- Forse non ancora – rispose Alex. – Ma il suo destino è segnato: fra poco precipiterà, se non è già precipitato nel buco nero che è diventata Gamma Procionis.
- E noi.
- Noi siamo in salvo. Adesso farò rotta per il sistema cetiano.
La ragazza riprese a piangere e Alex la strinse forte a sé. Certo, la perdita del padre era un colpo doloroso, ma si deve pur continuare a vivere, e un uomo accanto a lei l'avrebbe aiutata a superare la perdita. Anche il panorama di Ceti VII coi suoi giorni luminosi e il suo verde lussureggiante sarebbe stato di aiuto.
I diamanti, gli venne da pensare. I campioni nella sacca erano tutto quanto rimaneva di un mondo scomparso o prossimo a scomparire. Se non altro, il valore di quelli commerciati sul mercato interstellare non sarebbe crollato e quella sacca rappresentava una notevole fortuna. Investendola con oculatezza assieme alle risorse della famiglia, poteva diventare il titolare della più importante azienda vinicola di Ceti VII. Con Diana al suo fianco naturalmente, quando avesse superato la perdita del padre.
In fondo, l'universo non era poi un posto così tanto male.
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