Un Sud ferino, magico, abbandonato, senza conforto e dolcezza, eternamente sospeso sul baratro di una morte definitiva. Popolato da povera gente e gettato dalla Seconda Guerra Civile in un tunnel nero di arretratezza e superstizione. Non è raro incontrare, nelle piazze di paesi quasi deserti o di città bombardate, in mezzo a ruderi di cemento e ferraglia, qualche vecchio prete-sciamano vestito di tela lisa, intento non a predicare l’apocalisse – perché quella c’era già stata – ma a elemosinare qualcosa da mangiare in cambio di qualche benedizione, di un santino sdrucito o di qualche intruglio fatto di residui di bevande industriali e medicinali scaduti da anni.

– Perché non vieni qua e cerchi di dormire un po’, Fra’? – La voce di Bice arriva alle sue orecchie ovattata dal vecchio piumone.

– Semplice, – spegne la sigaretta sotto la suola di una scarpa – non ho sonno.

– Sei nervoso per la missione?

– Stavo giusto pensando che dovremmo friggere il cervello a qualche addetto alla sicurezza dell’ISS.

– Sogni dolci, eh?

Il segno di una pallottola su un muro. Raggi di calcinacci scrostati.

Gli occhi sbarrati dei suoi genitori. Le loro mani strette per sempre. Il plotone d’esecuzione dell’RFN che si scioglie.

Non c’erano prove a suo carico, solo qualche voce che lo additava come spia. Sospetti, insinuazioni, rapporti abbozzati, quanto basta per imbastire a carico del caporalmaggiore Francesco Maierato uno strano processo: il Comando aveva organizzato un rastrellamento di sovversivi e partigiani, veri o presunti. Tra di loro, in mezzo a quelle facce scavate dalla paura o scolpite dalla rabbia, i suoi genitori. Lo avevano aggregato al plotone d’esecuzione per comprovare la sua fedeltà alla Repubblica Federale del Nord. Aveva mirato al lato. Ma non era servito a nulla. I suoi erano morti fissandolo negli occhi. La sua pallottola era finita nel muro, inutilmente.

– A cosa stai pensando?

– A niente, Bice. Dormi tu al posto mio, ora. Domani avrò tutto il tempo di riposarmi.

Ogni ricordo, ogni orma passata che l’abbia portato là è come un ganglio neurale che salta, facendolo morire poco a poco.

Francesco osserva i suoi lineamenti scarni disegnarsi ancora una volta sulla superficie del Cast, la costosissima barca da cui sferrerà il suo attacco nella Rete.

È un punto morto.

Aspetta.

 

                                      * * *

 

Them Crooked Vultures, Gunman, stagionatura di quarant’anni. Corde liquide e tamburi martellanti, piatti scroscianti e sincopati, bit infernale.

 

Follow the leader yet lead 'em the same.

Slugs punctuate the refrain,

Come again?

It don't matter, don't try to explain.

You're just a dog to be trained,

Choke chained.

You gonna end up under tooth & nail.

If you catch a tiger by the tail,

Don't fail.

 

Non male, davvero. Ideale per un viaggio come il suo.

Armando lascia il volante e mima con le mani i movimenti di Dave Grohl alla batteria dei Vultures.

Gunman è anche il nomignolo che gli avevano appioppato i colleghi, per via della sua passione per le berte vecchio secolo, quelle col botto, il rinculo, il sangue che scorre e tutto il resto. Zio le benedica. Tra killer, malfattori e tutori dell’ordine – lui è un po’ tutti e tre – sono rimasti in pochi a prediligere le pistole, i più chiudono i loro sporchi lavori con trucchetti cibernetici, virus di sinapsi e altra roba senza clamore né onore.

Ha lasciato Gioia Tauro, la sua tana, da qualche ora. Dietro ha il lavoro sporco al porto – mercato nero, pubblico terrore e omicidi di ordinaria amministrazione – davanti, la missione della sua vita, quella che lo porterà via da quel buco di culo del mondo e gli darà quattrini e, si spera, un trasferimento al nord, dove il mondo è andato avanti e non indietro.

Olo-puttane e droghe di sintesi ogni giorno che dio manda in terra.

Magari avrebbe potuto fondare una sua band di rock’n’roll. Ha una voce da Tom Waits del punk rock, bassa e roca, e con la sua vecchia seicorde, una Rickenbacker scardinata, non smette mai di accompagnare le sue velleità musicali.

Si lascia sfuggire un sospiro.

Sta viaggiando in un Mercedes cabinato del 1981, guida tutto concentrato, ogni tanto guarda nel posteriore, a controllare che non sia salito di soppiatto qualche piccolo predone per fottersi le taniche di carburante: sono fondamentali, deve farci andata e ritorno; l’alternativa è rimanere bloccato in una qualsiasi autostrada o statale merdosa in mezzo al Kipple.

Nel suo cranio ultra-implementato la playlist va avanti – Pacific Coast Highway dei Sonic Youth – mentre accede al suo backup corticale.