Paria dei cieli, scritto nel 1949, è stato il primo romanzo pubblicato da Asimov oltre che il primo del Ciclo dell'Impero, completato da Le correnti dello spazio e Il tiranno dei mondi, fatti che lo rendono non del tutto fondamentale ma quantomeno importante nella storia della letteratura fantascientifica.

Da una parte lo sterminato Impero galattico, composto da duecento milioni di pianeti abitati da circa cinquecento quadrilioni di persone, dall'altra la Terra devastata dalle radiazioni popolata da "venti milioni di anime" e con un governo locale estremamente tradizionalista e conservatore. Secondo logica, in un conflitto tra le due opposte fazioni, chi la spunterebbe e quale danno potrebbe arrecare la Terra all'Impero se le possibilità di farcela sono di "venticinque miliardi a uno"? La risposta è ovvia, ma cessa di essere tale se aggiungete un'arma segreta terrestre capace di estinguere completamente, per quanto grande sia, l'intera popolazione galattica. Lo scontro non è soltanto sul piano politico, ma come spesso accade ha radici storico- culturali. La terra rivendica di essere la culla dell'umanità, mentre l'Impero rifiuta a priori questa tesi sostenendo che la razza umana ha avuto origine separatamente sui diversi pianeti grazie ad una serie comune di reazioni biochimiche favorevoli e che poi si sia unita grazie alla scoperta del volo spaziale, fatto oggettivamente alquanto improbabile. In mezzo a questa situazione si trova per caso un sarto ebreo venuto dal passato (1949), Joseph Schwartz; anche nel futuro non cambia la sua situazione: rimane un paria. Sarà lui comunque, assieme a un archeologo di Sirio, a salvare le sorti dell'umanità. Resta a voi scoprire come, se avete voglia di leggere questo libro.

Il principale topos letterario trattato è il riscatto del reietto, nel caso specifico Schwartz. Considerando poi che "Paria dei cieli" è stato scritto nell'immediato dopoguerra, è facile intuire che altro non è che il pensiero di Asimov a riguardo, espresso naturalmente in forma narrativa; in particolare sulla questione semitica l'autore si schiera a favore dell'assimilazione dell'ebreo nel tessuto socio-culturale del paese che lo ospita "in nome dell'uguaglianza di tutti gli uomini" (G. Lippi).

Lo stile è quello classico di Asimov, in sostanza poca scenografia, più dialoghi e intreccio, anche se non espresso ai massimi livelli, la gran parte dei personaggi sono resi con non molta incisività e risultano abbastanza sbiaditi.

In conclusione un buon romanzo, tutto sommato gradevole, ma non entusiasmante.