Oltre la televisione, oltre l’infinito

Il fulcro principale del romanzo di Hoyle consiste in ultima analisi nella domanda cardine che da sempre si pongono l’astronomia e la fantascienza: siamo soli nell’universo? La risposta che Hoyle dà a questa domanda può, a una prima occhiata, sembrare semplice, ma in realtà è ambigua. Se la ricerca di forme di vita intelligenti nell’universo è indirizzata a trovare altri esseri quali che siano, a prescindere dal tipo di logica e razionalità che utilizzano, allora la risposta è positiva. I protagonisti di A come Andromeda trovano effettivamente un’altra intelligenza, fredda e aliena, con cui il confronto diventa spietato. Ma se gli esseri umani, nel loro girovagare cosmico aggrappati a una piccola palla di roccia, avessero un’aspirazione più ampia, ovvero non solo trovare specie intelligenti ma soprattutto intelligenze con le quali raggiungere intesa e sintonia, allora la risposta fornita dallo sceneggiato diventa vaga e contraddittoria. La ragazza Andromeda, in bilico tra freddo calcolo ed empatia emotiva, è lì a ricordarci la labilità del confine tra ciò che è solo intelligente e ciò che invece è anche umano.