Apocalisse

Stavano seduti su una panca nel parco investito dalla luce del sole, a fumare sigarette d’importazione clandestina e a parlare delle ultime novità in fatto di velivoli da combattimento di classe Spitfire. Catherine Austin si sbottonava e riabbottonava meccanicamente la blusa dell’uniforme che ricordava vagamente le tute sporche e malandate usate nei campi di prigionia giapponesi. William Gibson sfogliava distrattamente il catalogo della nuova mostra appena inaugurata nei locali della clinica psichiatrica; tutte le foto riportavano frammenti di catastrofi planetarie, come se gli autori, di comune accordo, avessero deciso di comporre con le loro opere un mosaico olografico sull’immane devastazione della psiche umana. All’improvviso Gibson dimenticò l’ultima domanda che Catherine gli aveva posto, colpito da una folgorazione: se quegli aeroplani, i più moderni mezzi di combattimento della seconda guerra mondiale, fossero sbucati tra le nuvole cariche di pioggia e avessero sventagliato l’intero spiazzo, crivellando di proiettili alberi e arredi, lui si sarebbe trovato in una rappresentazione reale di quella catastrofe. — Va tutto bene, dottore? — gli chiese Catherine con un leggero tremito di nervosismo che faceva vibrare la sigaretta appesa all’angolo della bocca.  — Domani verrà con noi alla gita al mare? Potrebbe essere una buona occasione per conoscerci meglio.

Paesaggi interni

Talbot sudava copiosamente, arrancando centimetro dopo centimetro con la schiena incollata alle viscide piastrelle azzurre della parete. Ogni metro percorso gli lasciava nel fisico una fiacchezza simile a quella provata da uno scalatore dopo la conquista di una cima ritenuta inespugnabile. Arrivato alla biforcazione del corridoio si sporse prima alla sua destra, poi verso l’altro lato, accertandosi che non ci fossero pericoli in arrivo; poi fece alcuni grossi respiri e si lanciò verso il rettangolo marrone dell’uscita. Quando investì una forma umana che camminava verso di lui, lo stupore fu superiore soltanto al male che avvertì alla rotula del ginocchio destro. Michael Moorcock, sbuffando pesantemente, si chinò a raccogliere tutte le radiografie sparse sul pavimento; Talbot notò che si trattava di casse toraciche, crani stilizzati, assiomi di vertebre e sinuose spine dorsali, tibie ed articolazioni che sembravano fatte di gesso. Moorcock si accorse del suo sguardo: — Perché non viene ad assistere alla mia conferenza? Sarà forse un po’ noiosa ma sempre meglio che investire la gente nei corridoi. Guardi. — Gli mise davanti agli occhi una lunga lastra che rappresentava una cassa toracica; le linee delle vertebre somigliavano alle rampe rugose di un parcheggio multipiano. — La geometria dello spazio interiore potrà rivelare molto sul futuro di un individuo e, chissà, magari un domani, dell’intero sviluppo della razza umana. — Moorcock si allontanò con il fascio di radiografie sotto il braccio, inseguito dallo sguardo di Talbot che continuava a massaggiarsi la rotula. Ebbe la netta sensazione che lo avrebbe rincontrato presto, e non sembrava una buona notizia.

Auto-erotico

Le strade di Shanghai erano simili alle ramificazioni nervose di un malato di mente, così schizofrenicamente attraversate da veicoli di tutte le fogge e dimensioni. Travis se ne stava sdraiato sulla moquette della camera ad ascoltare i rumori del traffico. Con la mano destra sfiorava appena, semiaperta, le pagine di una rivista di fantascienza che si autodefiniva sperimentale. Al suo fianco Karen Novotny passeggiava completamente nuda, quasi stritolando una sottile sigaretta fra le dita smaltate; i suoi capezzoli puntavano l’aria come minuscole colonnine spartitraffico e ne avevano lo stesso colore, pallido riflesso di carne. Travis provava ad affondare nella moquette per percepire ogni minima vibrazione delle ruote sull’asfalto, con la speranza di trovare una linea di fratellanza tra le sue fibre e le venature del cemento. Karen si accucciò, spense accuratamente la sigaretta e gli fece scorrere un’unghia appuntita sul torace, come per marcare indelebilmente un territorio inesplorato.