L’incontro
La Piaga Dimensionale li ha espulsi all’improvviso. Un lampo livido. Il nereggiare di una bocca che si spalanca fra le stelle. Sono loro. La voce che annuncia l’inferno. Sulla nave i segnali d’allarme hanno preso a risuonare tutti insieme. Nel Bozzolo le serrature sono scattate all’unisono, mentre lo scafo, scosso dal brivido dei motori che si riaccendono, ha cominciato a vibrare, lanciandosi nella prima manovra diversiva. Con un riflesso istintivo faccio scattare il cronometro. Sono le 4.32 t.s. Abbiamo circa sei ore di vita.
La prima ora.
Accelerazione costante. Stiamo consumando tesori d’energia. È la prassi. Virata e contro virata. Dobbiamo tentare di raggiungere una delle Piaghe più vicine, cercando nel contempo di tenerci fuori della portata dei loro rampini magnetici. Non farci agganciare e svanire nel varco salvifico che può condurci dall’altra parte del Settore Galattico è la sola speranza che ci resta. Non importa se il tunnel dimensionale non è quello verso cui eravamo diretti. Non importa se ci condurrà lungo una rotta sconosciuta, forse senza ritorno. Qualsiasi cosa è preferibile al destino che ci attenderebbe se aspettassimo gli eventi senza fare nulla. Siamo braccati. Tra sei ore loro ci saranno addosso. Ci abborderanno. Perforeranno lo scafo, per sciamare dentro come locuste. Ciò che accadrà nei minuti successivi posso solo immaginarlo. Ma la mia fantasia è sempre stata fertile e crudele.
Doveva accadere. Sono anni che batto le rotte interstellari tra una colonia e l’altra del Settore MarTerriano. Era inevitabile che li incontrassi ancora, presto o tardi. Ma ora che sta accadendo non sono del tutto sicuro dei miei sentimenti. Cosa provo? Ho paura? Certo. Ma una paura lontana. Remota. Un miraggio onirico che opprime solo la parte più profonda di me e che non è ancora emerso, trasformandosi in un incubo cosciente. È come se mi stessi osservando dall’esterno, con la freddezza di un chirurgo. Me l’avevano detto. Non ci avevo creduto. Invece è vero. I primi momenti sono una specie di danza macabra. Sto ballando con me stesso, ubriacandomi negli effluvi di una razionalità, ancora troppo viva, che m’impedisce di tremare.
Tento di reagire. Sgancio una mina a ricerca, per dare loro qualcosa a cui pensare. Sfioro la tastiera virtuale, ordinando al Cervello Guida una virata a destra. Poi regolo il t-master perché trasmetta su tutte le frequenze.
- Richiesta di soccorso – scandisco. - Qui trasporto passeggeri “Orion”, in rotta nel Quadrante Beta, con destinazione Trafalgar. Richiesta di soccorso.
La mia voce suona apprensiva, ma non ancora disperata. Non ancora. Mancano quasi sei ore. La morte è lontana anni luce, da me. Anni luce.
- Siamo sotto attacco. Siamo...
Eppure lo so che è un’illusione. Lo so che quelle sei ore, quegli anni luce, esistono solo nella mia mente e nella capacità umana di credere a ciò che desidera. Loro sono ancora lontani, è vero. Ma la distanza che ci separa è un dato in rapida alterazione. Il nostro è solo un trasporto passeggeri. Il loro è un Raptor da razzia, attrezzato per colpire e dileguarsi. Non abbiamo speranze di potergli sfuggire, lontani come siamo dalla Piaga più vicina. L’agguato è riuscito con la perfezione di una sentenza. È solo questione di tempo. Ancora sei ore? Non è vero. Siamo già morti.
Una decelerazione improvvisa mi spinge contro lo schienale della poltroncina anatomica. Virata e contro virata. I continui cambiamenti di rotta ci consentiranno di evitare i loro rampini per un po’. La manovra è violenta. Il campo statico della poltroncina mi schiaccia, tagliandomi il respiro. Poi nuova accelerazione e virata contraria. All’improvviso la consapevolezza di ciò che sta maturando assume una consistenza fisica. Un peso che non aveva solo qualche attimo prima.
- Per l’amor di Dio, aiutateci!
La mia voce si è alzata di tono, fino a farsi stridula. Poi si è spenta, spezzandosi in un rantolo. So che loro sono in ascolto. So che mi hanno sentito. So che stanno sogghignando per il gemito di paura che mi sono lasciato sfuggire. Faccio uno sforzo per ricompormi. Io sono il defender. Sono il filo rosso che tiene aggrappati tutti alla vita. Non posso cedere. Gli altri contano su di me. Chiuso nel Bozzolo, il cuore blindato della nave, il mio compito è resistere fino all’ultimo, nella speranza che un Intercettatore di pattuglia raccolga le nostre invocazioni e intervenga. È la prassi. Il lavoro per il quale sono stato addestrato. Anche quando loro azioneranno le perforatrici, anche quando cominceranno a demolire le strutture esterne dello scafo, io dovrò continuare la lotta, chiuso nel cuore della nave. Continuerò a chiamare le stelle. Continuerò a dirigere la “Orion” verso la Piaga Dimensionale che ho scelto. Fino all’ultimo. Fino al momento in cui non mi resterà che azionare i dispositivi di autodistruzione e chiudere la partita in un lampo silenzioso. Sono il defender. La linea estrema.
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