2001
esprime tutto il potenziale visionario del grande cinema e insieme la prospettiva escatologica di una fantascienza al contempo cosmica e metafisica. Come fu possibile, a tuo modo di vedere, un risultato di questa portata, che non cessa di sorprenderci ancora oggi a 40 anni dalla sua uscita?

Fu possibile perché al timone dell’impresa c’era un grande produttore indipendente come Kubrick, che si era fatto dare carta bianca dai boss della MGM e che, per maggior sicurezza, se ne era andato a lavorare ad alcune migliaia di chilometri da loro, in Inghilterra. Fu possibile perché il film venne pensato e costruito in base a una visione, non solo a un calcolo finanziario. E fu possibile, indubbiamente, perché si era negli anni Sessanta, all’apice della corsa allo spazio, che mai il cinema avrebbe rispecchiato con maggior realismo e capacità visionaria. C’erano i cervelli, c’era il know-how (la NASA da una parte, l’industria del cinema angloamericano dall’altra) e c’erano le risorse finanziarie. Il presidente della Metro Goldwyn Mayer, Robert O’ Brien, si giocò il posto per difendere il progetto di un uomo che non solo non lavorava alle dipendenze degli studios, ma che li teneva alla larga. E si sa che il budget di 2001 è passato dal preventivo iniziale di sei milioni di dollari al costo finale di dieci milioni, mentre la consegna del film finito, prevista nel 1967, slittò di un anno.

La scorsa estate ho assistito a una proiezione pubblica del capolavoro di Kubrick a Bologna, che ha riempito Piazza Maggiore con migliaia di spettatori. Gente che solitamente guarderebbe forse con sospetto o diffidenza un libro o un film di fantascienza. Come ha cambiato 2001 la nostra percezione del futuro? Come possiamo giustificare questa persistenza del suo influsso?

2001 ci ha insegnato a vedere che il futuro è eterno. Non è vero, come dicono i detrattori o i non-frequentatori del genere, che con lo sbarco sulla luna o l’arrivo del fatidico XXI° secolo la SF sia stata superata dai fatti: sarebbe come dire che l’O di Giotto è stato superato dal compasso. L’astronautica e lo sbarco lunare del ’69 sono, almeno in parte, ;un frutto della fantascienza: le missioni NASA hanno avverato il sogno di Verne (Dalla terra alla luna) ma anche di Wells (I primi uomini sulla luna). Per non parlare di Cyrano de Bergerac, Luciano e tutti gli altri. C’è poco da fare, un antico sogno della specie si è realizzato in un universo in cui di solito i sogni non si realizzano affatto. Ora, questo avvenimento epocale non chiude un capitolo ma lo apre: perché cosa avviene della realtà quando il sogno, finalmente, la compenetra? Come può il mondo essere più lo stesso? E infatti non lo è. L’idea del futuro si sposta su un piano prima impensabile, che ho definito eterno: ecco dove è situato 2001, film che funziona come un mito e si pone dunque dentro e fuori del tempo. Va bene, dirà qualcuno, ma il 2001 è passato e non è stato affatto come lo dipinge Kubrick. Be’, preparatevi a ricredervi. Non è passato. Nel libro c’è un’intera voce dedicata all’argomento: “2001 e 2001”. 

Sono rimasto particolarmente colpito dagli echi di 2001 che sei riuscito a cogliere nelle soluzioni registiche o in certe scelte estetiche e scenografiche di film apparentemente lontani anni luce dalla fantascienza, come Il Divo di Paolo Sorrentino e Gomorra di Matteo Garrone che hanno inaugurato una nuova stagione – ci auguriamo duratura – nel cinema italiano. Secondo te, in un’era dominata dall’intrattenimento ad alto budget, è ancora possibile un film come 2001? Al di là dei titoli che individui nella costellazione delle pellicole influenzate da Kubrick, quali autori oggi potrebbero riprenderne il discorso?

Credo che le personalità geniali ci siano, ma non sempre hanno i mezzi per tradurre in atto la loro visione. Penso che Ridley Scott potrebbe fare un grande film di fantascienza spaziale, se volesse: non come Alien che in sostanza era una favola e nemmeno come Blade Runner che era, dal mio punto di vista, troppo terrestre, ma un grande viaggio alla scoperta dell’ignoto come 2001.  John Carpenter potrebbe farlo. Martin Scorsese, che non ha mai dimostrato di amare il fantastico, potrebbe darci un’eccellente utopia (o antiutopia, se preferite). Mi piacerebbe vedere un’Odissea nello spaziotempo girata da Terrence Malick, Werner Herzog o Alain Resnais (che peraltro l’ha fatto), mentre  George Lucas e Steven Spielberg potrebbero investire qualche centinaio di milioni di dollari in un’epica per adulti e non solo infarcita di avventure. Francis Ford Coppola sarebbe capace di grandi cose, ammesso che la cosa l’interessasse. Ma francamente credo che l’epoca dei titani alla Kubrick sia tramontata a causa delle mutate esigenze produttive. Altri verranno nel cinema del futuro, ma ancora non sappiamo quali panni vestiranno.

Concludiamo con due domande personali, se ti va. Cosa ha significato per te 2001 odissea nello spazio?

Oh, tutto. L’ho visto per la prima volta nel dicembre 1968, a quindici anni. Ero già da tempo un appassionato di fantascienza, in particolare fantascienza d’idee: l’avventura fine a se stessa non mi ha mai troppo interessato, ma lo spazio e il mistero del futuro… ah, quello è un altro discorso. Del film non capii niente, ma mi assorbì completamente. Da allora in poi non sono più stato soltanto io, ma io + 2001, che negli anni ho rivisto innumerevoli volte sul grande e sul piccolo schermo. Penso di averlo visto quattro volte solo nell’annata 1968-69, in tutte le sale in cui veniva proiettato. Poi ho letto il romanzo di Clarke e finalmente ho “capito”, anche se oggi non lo ritengo più così importante. Con 2001 ho fatto l’amore per quarant’anni, ritenendolo il più soddisfacente e sorprendente dei film di fantascienza. Era la prova (nel lontano ’68) che il mio ideale di SF ― inner, outer e super space allo stesso tempo ― fosse finalmente raggiunto.

Sappiamo che la lavorazione portò a una serie di divergenze di vedute tra Kubrick e Clarke, divergenze testimoniate anche nel successivo tentativo seriale, da parte di quest’ultimo, di fornire risposte letterarie ai molteplici interrogativi sollevati dal film. Dovendo esprimere una preferenza, chi sceglieresti tu: Clarke o Kubrick?

Pur sapendo di dare un dispiacere a qualche amico, dirò che non ho dubbi e scelgo Stanley Kubrick. Il creatore di 2001 è lui, Clarke è stato la spalla geniale. Naturalmente l’ha fatto benissimo, ha avuto idee splendide, ma Kubrick aveva già concepito il progetto prima ancora che Clarke venisse convocato. Anche questo è nel libro: fu Roger Caras, un funzionario della Columbia, a proporre il nome di Sir Arthur all’inquieto Stanley. Che all’inizio era addirittura perplesso…