Carlo Pagetti. Il senso del futuro

di Daniela Guardamagna

Daniela Guardamagna (Milano), docente di Letteratura inglese all'Università di Roma “Tor Vergata”, critico e traduttrice-adattatrice per il cinema, il teatro e la televisione, è autrice di varie monografie e saggi su temi utopici e sulla distopia, occupandosi di autori come Swift, Huxley, Orwell, Burgess, Dick, Le Guin e di cinema fantastico. Ha inoltre scritto articoli e volumi su Shakespeare, sul teatro elisabettiano e giacomiano e sul teatro inglese contemporaneo. Si ricordano qui Analisi dell'incubo. L'utopia negativa da Swift alla fantascienza (Bulzoni 1980), La narrativa di Aldous Huxley (Adriatica 1990), Il teatro giacomiano e carolino (Carocci 2002), The Tragic Comedy of Samuel Beckett (editor, con Rossana Sebellin, Laterza 2009), il numero monografico di Memoria di Shakespeare 8, On Authorship (editor con Rosa Maria Colombo, 2012), la monografia Thomas Middleton, drammaturgo giacomiano. Il canone ritrovato (Carocci 2018) e la curatela Roman Shakespeare: Intersecting Times, Places, Languages (collana "Cultural Intersections" diretta da Barrie Bullen, Oxford: Peter Lang, 2018).

Carlo Pagetti. Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana. Milano/Udine: Mimesis, 2012. pp. xiv+315. € 26.

Celebriamo con colpevole ritardo questa riedizione del fondamentale volume di Carlo Pagetti Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana, uscito per la prima volta nel 1970 per i tipi di Edizioni di Storia e Letteratura.

L’attenzione sempre preveggente di Agostino Lombardo, alla fine degli anni Sessanta, aveva assegnato a Carlo Pagetti una tesi di laurea sulla fantascienza soprattutto americana, trovandone le radici nel profondo humus culturale dei romances di Nathaniel Hawthorne, Herman Melville e soprattutto Edgar Allan Poe, e anche precedenti (penso ad esempio al grande sonno di Rip Van Winkle, che prefigura il sonno secolare dei protagonisti di tante utopie e distopie a cavallo del 1900, da Looking Backward di Edward Bellamy a When the Sleeper Wakes di H.G. Wells). La tesi è stata il nucleo fondante che ha dato vita alla nascita del volume.

Si è trattato di un testo fondamentale: non soltanto per la genealogia disegnata con profondità e precisione, per il disegno storico che costruisce un quadro estremamente articolato della nascita della fantascienza (dalle sue origini letterarie – “alte” nella tradizione dei romances di cui si è detto, ma sottolineando anche l’importanza storica della paternità di Hugo Gernsback e della nascita pulp fino a Kurt Vonnegut, William S. Burroughs e oltre), e per l’accuratezza delle intuizioni; ma anche per lo “sdoganamento” che ha consentito l’entrata nell’accademia italiana di un genere considerato ancora, in quegli anni, non meritevole di considerazione e studio.

È difficile sovrastimare l’importanza storica di questo volume; non è certo necessario ribadire in questa sede che la SF è un fenomeno culturale di enorme rilievo, grazie alla quale il clima intellettuale dei nostri tempi ha avuto una trasformazione radicale. Sarebbe stata imperdonabilmente cieca un’accademia che avesse continuato a ignorare il profondo, fondamentale operare di autori come Philip K. Dick, J.G. Ballard, Ursula K. Le Guin, Octavia Butler e decine di altri, che hanno trasformato la lettura e la rappresentazione della nostra realtà. Quasi impossibile pensare, diciamo, agli ultimi cinquant’anni del nostro mondo senza 2001. A Space Odyssey di Kubrick (tratto da The Sentinel di Arthur C. Clarke), o senza Blade Runner, che deriva come noto da Do Androids Dream of Electric Sheep? di Dick. Inoltre, il dialogo intertestuale fra la cosiddetta letteratura mainstream e i testi fantascientifici, utopici e soprattutto distopici ad esempio della social science fiction degli anni Cinquanta del secolo scorso (da Ray Bradbury o Robert Heinlein a Robert Sheckley, e naturalmente Frederik Pohl e C.M. Kornbluth, inizialmente meno noti in Italia probabilmente perché – a differenza dei primi – non sono stati antologizzati da Einaudi o Mondadori) costituisce una fitta trama di rimandi e interscambi, e consente a testi definibili genericamente come “letterari” di appropriarsi di tematiche profondamente moderne, trattandole in un’ottica non scontata. Se Noi di Zamjàtin, Brave New World di Huxley e Nineteen Eighty-Four di Orwell nascono a prescindere dalla SF, contribuendo allo scambio di cui stiamo parlando, un testo come lo splendido The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood (e la sua transcodificazione filmica a opera di Volker Schlöndorff, e ora quella televisiva) sarebbe stato impensabile senza il dialogo intertestuale con opere – fra le decine che potremmo citare – come Consider Her Ways di John Wyndham, o i testi di Joanna Russ o Marge Piercy.

Un’ultima considerazione. Leggo frequentemente, nel mio lavoro accademico, tesi di dottorato e testi di giovani studiosi; il rischio, anche in alcuni ottimi fra questi studi, è considerare soltanto la critica aggiornata degli ultimi vent’anni, che ha la sua culla in testi prodotti in precedenza, che vengono a volte ingenuamente trascurati. Mesi fa ho fatto parte della commissione che ha giudicato l’ottima tesi di dottorato di Daniele Croci, sul rapporto fra gli scientific romances di Wells e i supereroi dei comics degli anni Ottanta del Novecento, Alan Moore in particolare. Ecco: Daniele Croci è allievo di Nicoletta Vallorani, che naturalmente ha potuto segnalargli l’importanza del Senso del futuro; ma è evidentemente una fortuna che il giovane e brillante studioso abbia potuto trovare, invece di un volume difficilmente reperibile perché fuori stampa, la bella e recente riedizione del fondamentale volume di cui abbiamo discusso in questa pagina.