Non accade di frequente di comprare Urania e leggere il volume nel giro di una settimana dall’acquisto, ma l’occasione era ghiotta: L’imperatore di Gondwana, antologia di Paul Di Filippo rappresentava un richiamo forte. Per l’Italia, periferia dell’impero in ogni senso – quello americano, non gondwaniano – Di Filippo è autore quasi sconosciuto. Complice il fatto che scriva soprattutto racconti, di suo si è visto qualche sparso racconto appunto, e un solo volume, pubblicato dalla Nord: Steampunk (The Steampunk Trilogy); nonostante sia sulla scena ormai da un quarto di secolo e sia uno degli autori più rappresentativi della sua generazione.

L’imperatore di Gondwana oltre a sanare in piccola parte questa lacuna del mercato italiano di fantascienza mostra uno scrittore pienamente maturo, cosciente dei propri mezzi, fornito di immaginazione visionaria abbinata a una padronanza stilistica e letteraria che gli permettono di modulare le proprie scelte narrative e di scrittura con quella che appare facilità, ed è invece talento poliedrico, gusto per il gioco intellettuale, lucidità di analisi. Un autore perfettamente inserito nella letteratura americana contemporanea: i suoi punti di riferimento sono gli stessi che può avere un David Foster Wallace o un Michael Chabon, applicati alla fantascienza: per amore.

Antologia atematica, scelta insolita per Di Filippo, come lui stesso scrive nell’introduzione, ma che per ciò permette uno sguardo più completo e perfino approfondito alla rete complessa e ramificata della sua opera.

I racconti variano con grande libertà narrativa dalla reinvenzione favolistica, alla riflessione metaletteraria, dal racconto di storia alternativa all’invenzione surreale pura, dall’omaggio letterario alla contaminazione fantasy del topos fantascientifico più classico: l’avventura spaziale. Né la gamma si esaurisce qui.

Difficile trovare un qualche elemento unificante in tale congerie di ispirazione e di stili – Di Filippo è sopraffino nell’adattare linguaggio e forma alla materia di questi suoi racconti, spesso visioni autenticamente pericolose sul nostro futuro – e ancor più sul nostro presente e passato, sulla nostra realtà. Uno è certamente l’ironia inesorabile della mente che sta dietro a ognuno dei racconti; un’ironia che rischiara e intesse tanto i lavori che appaiono più espressione ludica sia quelli dove emerge con ferocia, senza remissione per l’umanità. Un secondo è l’ispirazione mediata, che potrebbe apparire sovrabbondanza di cultura: da qui il ritrovare come protagonisti di storie alternative Albert Camus, Robert Frost, Howard P. Lovecraft; come anche il mescolare insieme figure storiche come i due puritani del New England padre e figlio, Increase e Cotton Mather, con personaggi letterari quali Solomon Kane; e ancora la riscrittura dichiarata in chiave di fantasia visionaria di opere del nostro patrimonio letterario, che siano il Benito Cereno di Melville o una fiaba classica. Ma anche l’acutezza, il sarcasmo, lo sberleffo e infine la lucidità con cui, partendo da un evento, tanto tragico quanto mediatico, autentico evento pop, quale fu il caso di O.J. Simpson, Di Filippo imbastisce un racconto – Alibi pulp (già edito in Italia, addirittura in prima pubblicazione nell’antologia Schegge d’America pubblicata nel 1997 dalla Fanucci nella rimpianta collana AvantPop) - che è un autentico delirio, sequenza di flash uno più folle e “strano” dell’altro, attraverso il quale demolisce e mette alla berlina il sistema giudiziario americano e forse la stessa radice del concetto americano di giustizia.

E acutezza, sarcasmo, sberleffo e lucidità presenziano ognuno dei racconti, sono infine la cifra comune che fornisce la traccia per riconoscere lo spirito sotteso a ognuna delle storie narrate: uno spirito che coniuga brillantezza e verve con profondità e rigore. Le armi grazie alle quali Di Filippo mette il lettore - e attraverso di lui l’essere umano che quel lettore è – di fronte alle sue manchevolezze di individuo e di specie, e occasionalmente anche ai suoi slanci migliori. Il fantastico e la speculazione fantascientifica si rivelano, nelle sue mani, strumento ideale per farlo; per rivestire di polpa ricca la solitudine dell’uomo e la sua spinta all’amore e verso un mondo migliore come fa nel racconto che dà il titolo al volume, dove è possibile rintracciare un’eco lontana di uno dei più bei racconti di Lord Dunsany: L’incoronazione del signor Thomas Shap; oppure per denudare l’insensatezza della corsa affannosa senza meta del consumismo in Le curiose invenzioni di Mr. Ipo. O ancora per riflettere in modo prevedibile ma tuttavia con accuratezza, inesorabilità e amarezza sull’invariabile crudeltà dell’Uomo come accade in Corri corri a Occidente. Ma ognuno o quasi dei racconti vede il rincorrersi e compenetrarsi di amaro e dolce, di elevatezza e meschinità. Perché nascono tutti sotto il segno dell’uomo.

Ah, forse c’è un altro elemento comune a questi racconti: sono tutti divertenti. Molto.