È un videogame di fantascienza il titolo più venduto d’inizio anno negli Stati Uniti. Lost Planet: Extreme Condition, della giapponese Capcom per Xbox 360, in gennaio ha totalizzato circa 329mila copie, conquistando la testa della consueta classifica mensile redatta dalla società di ricerca americana Npd. Un risultato di tutto rispetto. Gennaio non è mai stato un mese particolarmente proficuo per le vendite di videogame, anche se Npd ha registrato quest’anno un incremento del 53 percento rispetto allo stesso periodo del 2006.

Intanto, Lost Planet si avvia a diventare una serie di successo. È infatti già stato confermato l’arrivo di un seguito, come pare accadrà anche per Dead Rising. I due videogame rappresentano l’esordio di Capcom sulla nuova console Microsoft. Un esordio convincente, sia dal lato delle vendite – entrambi i videogame globalmente viaggiano sul milione di copie – che da quello della qualità delle produzioni. Mentre in Dead Rising la casa di Resident Evil torna su un terreno particolarmente affine alle sue fortune recenti, quello degli zombi, seppure con una struttura aperta e colorazioni grottesche non sperimentate prima, per Lost Planet lo scenario è il futuro high-tech della conquista spaziale e di un pianeta ghiacciato.

Si chiama Edn III e per il personaggio interpretato dal giocatore, il belloccio Wayne Holden (con il volto digitalizzato dell’attore coreano Lee Byung-Hun), presenta almeno due grossi problemi: il freddo e gli Akrid. I secondi, classici alieni simili a insetti giganti, possono però rivelarsi utili per proteggersi dal primo. La tuta di Wayne, che nel corso dell’avventura piloterà anche potenti esoscheletri robotici, è in grado di immagazzinare energia termica dai nemici uccisi e di rallentare così il conto alla rovescia relativo alle riserve vitali che si innesca esplorando le zone non protette del pianeta. Una caratteristica che avvicina il ritmo del videogame- un western tutta azione dalla forte influenza cinematografica, ora riconducile alla Cosa di Capenter, a Aliens o a Pitch Black - agli shooter più intensi di una volta, quando non bastava mandare a segno i colpi, ma serviva anche concatenarli insieme nel verso giusto e di tempo per riflettere sulla mossa successiva non ce n’era mai molto.